Ebrei, omosessuali, neri: una storia della fobia del diverso che parla soprattutto al Paese attuale

Stella: l’Italia che ha paura degli altri

Il giornalista della Casta oggi a Pescara con il suo nuovo libro sul razzismo

PESCARA. «Negri, froci, giudei & co. L’eterna guerra contro l’altro» è un titolo che lascia poco spazio al dubbio. E il titolo del libro (edito da Rizzoli) di Gian Antonio Stella che l’autore, inviato di punta del Corriere della Sera, presenterà oggi alla libreria Edison di Pescara (si legga il box qui a fianco). Autore della «Casta», con questo saggio, Stella, 57 anni, trevigiano di Asolo, torna sul tema del razzismo a cui aveva, nel 2003, dedicato un libro «L’Orda. Quando gli albanesi eravamo poi». Il tema è quello del rapporto con l’altro, con chi, essendo diverso dalla maggioranza per ragioni religiose, etniche o di pensiero, mette in crisi il senso di identità della comunità.
Ne parla in questa intervista al Centro.

Chi è l’altro oggi per gli italiani?
«Gli altri sono tanti. Il primo altro è lo straniero, il nemico, quello che non si capisce: lo sconosciuto».

E’ lo sconosciuto che ci spaventa?
«Sì, spaventa la maggior parte degli italiani».

Perché ci spaventa?
«Lo straniero mette in crisi tante cose. Poi i problemi diventano gravi quando una società è spaventata da tutto».

Che tipo di paure ha la nostra società davanti all’altro?
«Ha paura di perdere il lavoro, di non avere la pensione; ha paura che il figlio non trovi il posto fisso, che gli stranieri ci rubino il lavoro, che cambino le sue sicurezze, che portino malattie ormai scomparse da noi, come la tubercolosi o i pidocchi nelle scuole. Tutto questo insieme di paure crea un’inquietudine e, se questa inquetudine viene cavalcata da partiti che pensano di ricavarne voti, questo diventa un grande problema politico».

Il suo libro è una sorta di storia della paura dell’altro e del razzismo: che parte hanno avuto gli italiani in questa storia?
«Gli italiani sono stati vittime ma anche carnefici. L’idea che gli italiani siano stati vittime del razzismo altrui, nel passato, e che oggi siano loro a essere i razzisti è scorretta».

Perché?
«Perché cento anni fa gli italiani erano vittime del razzismo altrui come emigranti, ma quando invasero la Libia furono loro a essere razzisti. Non c’è un prima e un dopo: i due fenomeni coesistono».

Come si trova un popolo che, per secoli, è stato l’«altro» a indossare i panni di chi disprezza quell’«altro»?
«Questo è uno dei grandi temi in discussione quando oggi si parla di immigrazione. Gli italiani non hanno riflettuto abbastanza sul loro passato, l’hanno rimosso, non ci hanno pensato molto sopra. Ed è questo, per esempio, il motivo per cui gli inglesi, i francesi - o gli altri popoli che hanno riflettuto sul loro colonialismo con maggiore profondità - non permetterebbero mai a un loro ministro di chiamare bingo bongo un nero».

Qual è l’antidoto, oggi in Italia, per questa paura?
«Intanto, l’ottimismo: soprattutto credere di più in noi stessi e nei nostri ragazzi. La nostra è una società che è aggrappata alle sue certezze di una volta e che non riesce a investire sui figli. Ma se ti attacchi a un certo tipo di certezze, senza in realtà crederci, poi tutto si capovolge. Prendiamo Enzo Bianchi con cui, oggi (ieri per chi legge ndr) qui al Corriere della Sera, abbiamo parlato di razzismo. Beh, Enzo Bianchi non ha bisogno di agitare nell’aria il crocifisso per essere saldo nelle sue certezze di fede, perché lui ci crede davvero in Dio. Non deve agitare il crocifisso come una clava come fanno quelli che, in realtà, non ci credono».

Crescendo il numero degli «altri» in Italia, nei prossimi anni, aumenterà anche la paura? E’ più ottimista o pessimista su questo punto?
«Dipende anche dalle scelte che farà la classe dirigente di questo Paese. Se continuerà a scaricare tutte le colpe di questa insicurezza sugli extracomunitari, allora saranno problemi seri, molto seri. Se, invece, la classe politica dovesse capire che quello è un gioco perverso in cui abbiamo tutto da rimetterci, allora le cose potrebbero andare in maniera differente. Tutto dipende dalla capacità della nostra classe politica. Se Franklin Delano Roosevelt, appena diventato presidente degli Stati Uniti negli anni ’30, avesse scelto di cavalcare i cattivi sentimenti che c’erano in America, sarebbe finita malissimo per gli italiani. Invece, Roosevelt fu l’uomo che disinnescò l’odio anti-italiano».

Quindi, è pessimista o ottimista per il futuro?
«Io credo che, alla lunga, fatalmente si avrà l’inserimento di questi nuovi italiani, che cominceranno a mischiarsi a noi sposandosi con i nostri figli e i nostri nipoti e che, alla fine, vinceranno i buoni».

Chi si è comportato meglio in Italia negli ultimi 20 anni sul fronte dell’anti-razzismo?
«La Chiesa. Giovanni Paolo II è stato un grande uomo, l’uomo più anti-razzista che sia apparso sulla Terra negli ultimi tempi. Io non sono un cattolico baciapile, però credo che Giovanni Paolo II, pur avendo commesso degli errori, sul versante dell’antirazzismo sia stato un gigante».

E Papa Ratzinger?
«Finora non è arretrato su questo tema ma, certo, non è andato neppure avanti».