«Stop trivellazioni? Solo un piccolo passo»

Gli ambientalisti chiedono di più ma i petrolieri parlano di risorse irrinunciabili

PESCARA. Un piccolo passo che allevia ma non azzera il rischio di una deriva petrolifera. Il dibattito sulla riforma del codice ambientale e le misure allo studio del governo per rendere più rigoroso il regime autorizzativo delle estrazioni in mare, registra posizioni divergenti dopo lo stop delle trivellazioni, a cinque miglia dalla costa, annunciato dal ministro Stefania Prestigiacomo.

E se il capogruppo regionale di Rifondazione, Maurizio Acerbo, parla di «poca cosa, ma sempre meglio di niente», dall'assemblea generale di Assopetroli, il presidente di Confindustria energia, Pasquale De Vita, ribatte che non è possibile «rinunciare a quella parte di approvvigionamenti, purtroppo molto contenuta, che ci può permettere di ridurre la dipendenza dall'estero».

Il provvedimento adottato dal consiglio dei ministri si applica ai procedimenti autorizzativi in corso ma non può nulla nei confronti delle attività estrattive avviate, delle quali si può avere un'idea scorrendo la tabella elaborata da Legambiente e Wwf Abruzzo. Ed è il punto su cui affonda la critica ambientalista, con Acerbo che si chiede «perché il governo continui ad autorizzare nuove trivellazioni quando le riserve recuperabili tra terra e mare, in Italia, sono una quantità irrisoria, pari a venti mesi dell'attuale fabbisogno». La richiesta di Rifondazione non si presta del resto a equivoci di sorta. «Il governo», sottolinea Acerbo, «dichiari l'Adriatico mare libero dal petrolio». La catastrofe nel Golfo del Messico condiziona pesantemente la riflessione sulle scelte, difficilissime, da affrontare in materia energetica. «Faccio presente», prosegue Acerbo, «che l'Adriatico non è un oceano. Il nostro è un mare chiuso in cui le conseguenze di un incidente, anche mille volte inferiore a quello della Louisiana, sarebbero catastrofiche. Se il pozzo si trova a dieci miglia non cambierebbe poi molto!».

Contro la «petrolizzazione selvaggia» si schiera anche Alleanza per l'Italia (Api), con il portavoce regionale Bruno Evangelista che, pur condividendo la direzione indicata nella misura ministeriale, afferma che non è ancora abbastanza per garantire la soluzione del problema. «Il provvedimento», annota Evangelista, «è inserito in una norma che non tiene in nessuna considerazione la specificità abruzzese, rispetto alla quale si rende necessario un decreto legge urgente del governo dopo la risoluzione del consiglio regionale che dà mandato al presidente Chiodi di attivarsi in tal senso». Tra l'altro, la norma, al momento solo annunciata, non interviene in alcun modo sulle perforazioni a terra che interessano 221 Comuni su 305, e di fatto rendono l'Abruzzo un vero e proprio distretto minerario che stride su un territorio in larga parte vincolato a parchi e riserve naturali.

Ma un Abruzzo dichiarato zona franca dalle trivellazioni, a terra e in mare, sembra incompatibile con la visione dell'industria petrolifera, che definisce irrinunciabile la ricerca in mare. «L'industria petrolifera non ha il pallino di andare a cercare il petrolio sotto l'acqua», premette De Vita, «ma ha la responsabilità di rispondere a una domanda di energia». Delle riserve petrolifere scoperte negli ultimi dieci anni nel mondo, la metà sono sotto l'acqua del mare. E, per Confindustria, le previsioni su consumi e domanda per i prossimi 15-20 anni sono che nel 2030 passeremo da 12 miliardi a 14,5 miliardi.

«Per fronteggiare questo incremento» incalza De Vita «bisogna mettere in campo tutto, anche le rinnovabili, sulle quali anche il settore petrolifero si sta impegnando. Può darsi che si riesca a coprire il surplus di domanda, ma con la tecnologia di oggi non c'è un'alternativa che possa sostituire i combustibili fossili». Secondo De Vita, quindi, l'unica strada è quella di rivedere e rafforzare le misure di sicurezza grazie ai nuovi apporti della tecnologia.

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