Storia dell’“Albergo diruto” la grande incompiuta sulle pendici del Gran Sasso 

La costruzione iniziò nel 1935, ma non fu mai completata a causa della guerra Oggi potrebbe essere l’occasione per disegnare un modello diverso di ospitalità

L’edificio denominato su carte IGM “Albergo diruto” è stato costruito nel 1935 ma mai completato a causa della guerra. Sorge su una cresta quasi pianeggiante, a quota 1.896 m, che è parte della dorsale del Corno Piccolo, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. È una costruzione su due piani più sottotetto per una superficie totale di 395 metri quadri.
LA STORIA DEL RIFUGIO
Nella prima guida del Gran Sasso d’Italia del 1888 Enrico Abbate auspicava la costruzione di un punto di riparo proprio in quell’area, per poi poter accedere alla scalata della vetta del Corno Grande.
La costruzione venne progettata dall’ingegnere Nicola Forti nell’immediato dopoguerra. Forti fu certamente un grande personaggio, determinato e coraggioso: nella grande guerra fu ufficiale degli alpini sul Carso, decorato con due medaglie d’argento e due di bronzo, più volte promosso sul campo. Preso prigioniero dagli austriaci, si legò una gamba per avviare il piede alla cancrena, in modo da essere incluso in uno scambio di prigionieri; rientrò dunque in Italia ma solo per tornare al fronte appena guarito. Si innamorò della montagna combattendo sulle Alpi e una volta tornato in Abruzzo non poté resistere al fascino del Gran Sasso, che vedeva dalla sua casa. Con alcuni amici - Giovanni Romani, Luigi, Erminio e Francesco Di Lodovico - raggiunse la vetta del Corno Grande; ci tornarono e salirono il Corno Piccolo.
In contemporanea con l’avvio dei lavori per il rifugio dell’Arapietra, negli anni ‘30, e per la realizzazione della mulattiera che dal Piano dei Laghetti, attraverso il vallone delle Cornacchie, porta alla Sella dei due Corni, l’ingegnere Forti fece preparare da operai scalpellini, introvabili da tempo dalle sue parti, le pietre da costruzione. L’albergo non completato fu saccheggiato nel dopoguerra: furono divelte le finestre, rubato il ferro e gli altri materiali e fu danneggiato il tetto. Ben presto la costruzione divenne il simbolo di quella bellissima cresta del Gran Sasso che guarda il mare, la Val Vomano e i due Corni. Un simbolo però distrutto.
Negli anni ’50, la stazione sciistica dei Prati di Tivo cominciò la sua attività e nel percorso tra l’“albergo diruto” e la sella dei due Corni venne costruito il rifugio Franchetti: edificato sul finire degli anni '50 dalla sezione romana del Cai, fu inaugurato nel 1960. Costruito interamente in pietra calcarea e rivestito in legno, sorge a 2.433 m di quota su uno sperone roccioso, al centro del Vallone delle Cornacchie.
Negli anni successivi, l’“albergo diruto”, nonostante le intemperie, rimaneva in piedi e diveniva nella mente di tutti l’ennesima incompiuta.
L’interesse nella costruzione si risvegliò negli anni ’70, quando alcuni appassionati di montagna provarono a redigere un progetto di ristrutturazione, che venne presentato alla comunità Montana del Gran Sasso (sede di Tossicia). Dopo varie vicissitudini si arrivò persino al finanziamento dei lavori tramite la Cassa del Mezzogiorno, «….per la considerevole cifra di quasi un miliardo di lire…», racconta il geometra Nino Di Felice che si occupò del progetto. Sembra incredibile ma i lavori vennero persino appaltati e si aggiudicò i lavori la Fracassi Rinaldo di Teramo. Quando la ditta visionò il luogo si rese conto di aver bisogno di una strada di accesso che, però, non venne concessa dalla Comunità Montana e quindi il progetto naufragò. Alla metà degli anni ’90, il geometra Di Felice seppe dalla Cassa del Mezzogiorno che il finanziamento ancora esisteva e che bisognava solo rinnovare la richiesta. Così Di Felice rifece il progetto e lo portò di nuovo alla Comunità Montana, dove però il direttore negò l’approvazione per mancanza di tempo. L’“albergo diruto” nonostante tutto resiste, a ricordarci la poca lungimiranza, la distrazione, le incompiute del territorio.
Gli anni 2000
Cercando notizie più recenti, sul web ci si imbatte facilmente in una tesi di laurea del corso di Architettura dell’Università di Roma tre dal titolo: «Recupero di un Rifugio nel Parco Nazionale del Gran Sasso». E si tratta proprio di un progetto di recupero dell’albergo dell’Arapietra. L’autore è l’architetto Daniele Costanzi, anno di laurea 2016.
Daniele è un giovane architetto, ma anche un amico della montagna, membro del Cai di Roma e della Commissione rifugi. La sua idea di ristrutturazione è originale e innovativa. Lui stesso scrive: «Il rifugio, una volta ristrutturato, potrebbe accogliere non tanto rocciatori e alpinisti che verosimilmente continuerebbero a fermarsi al più alto rifugio Franchetti, ma escursionisti, scolaresche, corsi Cai, associazioni e altri enti che, grazie ad una grande sala situata al primo piano potrebbero avere lo spazio per lezioni, proiezioni ecc.»
Abbiamo chiesto all’arch. Costanzi se il suo progetto di struttura polifunzionale e non di rifugio classico potesse essere un modo di sviluppo futuro della montagna.
«La volontà progettuale è stata quella di creare una continuità tra l’interno e l’esterno, portando i percorsi dentro l’edificio attraverso gli spazi distributivi e la scala in legno, fino ad arrivare alla grande sala comune aperta verso il paesaggio esterno» precisa l’architetto Costanzi. «È proprio questa sala che vuole suggerire delle funzioni accessorie allo standard di offerta del classico rifugio, una sala che possa ospitare delle attività didattiche, espositive o a fini scientifici, attività legate alla montagna che possano essere svolte da associazioni ed enti del luogo. Negli ultimi anni sono sempre più coloro che vedono il rifugio come meta e non come appoggio per un’ascensione, o che lo utilizzano come punto sosta all’interno di un trekking di più giorni. Cambiando i fruitori, cambiano le richieste di servizi e conseguentemente la struttura e gli aspetti distributivi del rifugio stesso che, tuttavia, nel mio progetto ho voluto confermare nel suo carattere di struttura semplice ed essenziale.»
Questo bel progetto è anche tecnologicamente avanzato e ecologicamente sostenibile: «L’aspetto tecnologico e quello legato alla sostenibilità ambientale sono state le prospettive principali che ho preso in considerazione nel mio lavoro» ci racconta Daniele Costanzi. «Lo studio della coibentazione dell’involucro esterno in pietra locale e le soluzioni per un adeguato efficientamento energetico, complicate dalle severe condizioni atmosferiche, mi hanno portato a proporre un cappotto interno con materiali isolanti naturali, connesso allo studio di doppi infissi che garantissero adeguata tenuta ai forti venti presenti in cresta. Un altro aspetto importante – continua – è stato l’approvvigionamento idrico ed energetico, con conseguente gestione e smaltimento dei reflui. Questi aspetti sono quelli che forse più caratterizzano i rifugi montani data la loro posizione isolata»
CONCLUSIONI
Si deve amaramente concludere che senza un adeguato piano progettuale, le nostre montagne tarderanno a essere attrattive durante tutto l’anno: in questo modo a soffrirne sono le aree interne e i piccoli comuni che si spopolano. I vari attori della montagna dovrebbero trovare un modo di dialogare, pensando alla montagna abruzzese in toto, senza campanilismi, così da poter proporre via via alla Regione studi di fattibilità completi. La Regione dovrebbe impegnarsi per un tempo abbastanza lungo a dedicare specifici fondi, anche europei, al recupero delle strutture di montagna