Tagli agli stipendi, Roma fa da apripista la Regione è ferma il governo accelera

Il decreto del governo precede la proposta di riforma Pagano ferma da circa sette mesi. Un tetto di spesa per gli emolumenti dei consiglieri

PESCARA. Ci sarebbe da dire che se Maometto non va alla montagna, è la montagna che va da Maometto. Il problema è che quando si comincia a parlare di emolumenti e costi della politica non si sa se c’è tutta questa volontà di andare da una parte o dall’altra. L’Abruzzo è in questo davvero un caso emblematico. C’è una proposta di legge regionale, trascinata a suo tempo da consensi e ampie condivisioni, che prevede tagli agli stipendi dei consiglieri regionali di circa il 15 per cento, e che è ferma da circa sette mesi; nel contempo lo Stato indica agli enti locali un tetto massimo di spesa (vedi tabella) per la macchina della politica. Tutto lascia pensare che prima o poi qualcosa si farà, ma spuntano le prime incongruenze. Si scopre così che il decreto sugli enti locali appena approvato dal Senato non riguarderebbe direttamente il nostro caro Emiciclo bensì le Regioni che si apprestano a cambiare legislatura (la nostra scade nel 2013). Si scopre altresì che il decreto sarebbe minato alla base da un principio di competenza e che i tagli che esso prevede sarebbero comunque più bassi di quelli che verrebbero attuati con la proposta di riforma regionale.

A tirare le somme, all’Abruzzo non resterebbe altro da fare che prendere questo decreto legge come una sorta di raccomandazione, di indicazione, affinché i costi della politica vengano comunque abbassati. Ma che cosa c’è da pensare se la proposta di legge sui tagli degli emolumenti, malgrado fosse stata tanto acclamata, è ancora “oggetto di ampie discussioni” al punto da non vedere uno spiraglio?

Il presidente del consiglio regionale Nazario Pagano (Pdl), padrino della proposta, continua a difendere l’impegno preso («da me e da tutto l’ufficio di presidenza composto anche dalla minoranza», tiene a precisare) e si augura che il decreto a questo punto funga quantomeno da apripista alla legge regionale. «Considerati tutti i limiti che ha questo decreto», osserva, «credo che siano maturi i tempi in cui tutta la classe politica regionale possa discutere della proposta e trovare l’accordo». I tempi Pagano non li azzarda, però aggiunge che il percorso non si è fermato perché gli risulta che l’ultimo incontro dei capigruppo ci sia stato un mesetto fa. «Certo è», commenta con un velo di ironia tornando al decreto, «che se avessero voluto obbligare le Regioni a tagliare le spese e non fornire soltanto un’indicazione, avrebbero fatto prima a ridurre le indennità dei parlamentari alle quali gli stipendi dei consiglieri regionali fanno riferimento. In Abruzzo, ad esempio, siamo al 65 per cento, in Sicilia al 95 per cento».

Il decreto approvato dal Senato prevede che, a decorrere dal primo rinnovo del consiglio regionale successivo alla data di entrata in vigore della sua approvazione, ogni Regione definisca l’importo degli emolumenti e delle utilità (indennità di funzione, di carica, diaria, rimborso spese) percepiti dai consiglieri regionali in modo tale che, ove siano maggiori, non eccedano complessivamente, in alcun caso, l’indennità massima spettante ai membri del Parlamento. In prima battuta sono stati indicati 5.613 euro, in realtà la somma sarebbe un 15-20 per cento in più. Nel caso dell’Abruzzo (nell’ipotesi remota in cui il decreto venisse applicato) gli stipendi non cambierebbero di molto. «Si farebbe prima ad approvare la nostra legge sui costi della politica», irrompe il capogruppo pd in consiglio regionale Camillo D’Alessandro, «noi abbiamo presentato per tre volte consecutive un progetto di legge che prevede una cosa molto semplice: parametrare gli stipendi dei consiglieri alle indennità più basse delle altre regioni. Vogliamo essere gli ultimi d’Italia perché in un momento di crisi gli abruzzesi devono sapere che i consiglieri sono i meno pagati». E il decreto taglia-spese? «Già in passato a livello governativo si è cercato di tagliare le indennità, ma questo non è possibile perché alle fine sono le Regioni a decidere», risponde in modo deciso. E così il cerchio si chiude di nuovo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA