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11 LUGLIO

Oggi, ma nel 1946, a Torino, sul quotidiano “La Nuova Stampa”, si chiudeva la pubblicazione della serie di articoli, iniziata l’1 giugno precedente, intitolata “Le memorie di un condannato a morte”, nella quale Luigi Federzoni, bolognese del 1878, tra l’altro presidente del Senato del regno d’Italia dal 29 aprile 1929 al 2 marzo 1939, anticipava il a puntate il contenuto del suo libro, proprio dal titolo “Memorie di un condannato a morte”, che sarebbe dovuto uscire, a breve giro, per i tipi dell’editore De Luigi di Roma. Saggio che, invece, rimarrà inedito per molto tempo e che poi verrà pubblicato, postumo, dalla casa editrice fiorentina Le Lettere, nel 2013.

Nei pezzi firmati da Federzoni, l'autore faceva luce, secondo il suo personale punto di vista, sulla seduta del Gran consiglio del fascismo, del 25 luglio 1943, e sugli sviluppi successivi alla caduta di Benito Mussolini.

Fatti che si erano snodati con l’arresto, avvenuto proprio quel 25 luglio, la successiva prigionia, anche a Campo Imperatore, la liberazione, sul Gran Sasso, datata 12 settembre 1943, il ritorno al comando come capo della Repubblica sociale, creata il 23 settembre 1943, con indirizzo d'appoggio alla Germania nazista.

Una fosca pagina della storia recente, seguitissima sul piano giornalistico, sulla cui attendibilità aveva garantito anche Giacomo Acerbo. Quest’ultimo, da Loreto Aprutino, del 1888, era stato l’esponente in orbace più in vista d’Abruzzo, ed era uno dei 28 presenti alla controversa riunione (nella foto, particolare, lo schema stilizzato dei partecipanti) del 25 luglio 1943, che si era svolta intorno all’iconico tavolo a forma di “U”, nella stanza del pappagallo del romano Palazzo Venezia. E il barone dell’Aterno era stato anche tra i 19 che avevano votato “si” alla proposta avanzata da Grandi.

La versione di Federzoni, che era molto importante dal punto di vista della testimonianza diretta, fungeva anche da contraltare a quanto detto da Dino Grandi, conte di Mordano, classe 1895, altro gerarca protagonista in quella fatidica occasione. Nonché autore dell’ordine del giorno, col suo cognome, in grado di cambiare il corso degli eventi, col quale aveva chiesto, in estrema sintesi, il ripristino di tutte le funzioni statali e aveva invitato il Duce a restituire il comando delle forze armate al re Vittorio Emanuele III.

Grandi, già presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni dal 30 novembre 1939 al 2 agosto 1943, da Lisbona, aveva fatto pubblicare, sul quotidiano “Il Popolo”, organo ufficiale della Democrazia Cristiana, nell’edizione del 13 gennaio 1946, nel servizio dal titolo “Grandi e la fosca tragedia del 25 luglio. Il duello al Gran consiglio”. Tutta la vicenda verrà raccontata da Emilio Gentile, ritenuto tra i massimi esperti del ventennio littorio, nel volume “25 luglio 1943”, che verrà edito da Laterza di Roma-Bari, nel 2018.