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12 Febbraio

Oggi, ma nel 2004, a Viterbo, veniva ritrovato il cadavere dell'urologo Attilio Manca (nella foto), classe 1969, riverso in una pozza di sangue sul letto nella sua abitazione in una situazione da presunta morte per overdose di cocaina. Lo attendevano nella clinica Villa Valeria a Roma per eseguire un intervento chirurgico, ma non era mai arrivato. L'autopsia indicherà oltre alla presenza di droga nel sangue, anche di alcol e barbiturici. Ma la tesi del suicidio non convincerà la famiglia della vittima per la non corrispondenza di elementi tecnici: il medico non aveva mai fatto uso di droghe, era mancino ed eventualmente si sarebbe iniettato lo stupefacente nel polso destro e non nel sinistro dove erano presenti due fori, la mancanza di impronte digitali sulle siringhe rinvenute accanto al corpo, segni di colluttazione sul cadavere. I familiari, particolarmente la madre Angela, si opporranno per anni contro l'archiviazione del caso e contro le indagini della procura di Viterbo ritenute approssimative e quindi per favorirne la riapertura. L'ex magistrato Antonio Ingroia seguirà il giallo come legale. Una delle ipotesi (ancora aperta e non del tutto chiarita) che spunterà fuori, anche per via delle dichiarazioni del pentito di mafia Carmelo D'Amico di Barcellona Pozzo di Gotto, sarà quella d'essere stato "suicidato" per coprire il viaggio e l'operazione alla prostata che il boss mafioso Bernardo Provenzano ebbe nel 2003 nella clinica "La Ciotat" di Marsiglia sotto il falso nome di Gaspare Troia. Manca, contattato dalla mafia appunto di Barcellona Pozzo di Gotto e non riuscendo a sottrarsi, sarebbe stato sul posto in Francia nel novembre di quell'anno per aggiungersi al gruppo di chirurghi diretti da Philippe Barnaud e selezionati per salvare il capo di Cosa nostra.

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