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16 GENNAIO

Oggi, ma nel 1605, a Madrid, per i tipi dell’editore Juan de la Cuesta, veniva pubblicata la prima edizione del romanzo “El Ingenioso Hidalgo Don Quixote de la Mancha”, di Miguel de Cervantes Saavedra, di 58 anni, verosimilmente ideato ad Atri, alla corte dei duchi d’ Acquaviva, prima della battaglia di Lepanto, del 7 ottobre 1571. L’opera, destinata ad avere un seguito, con il secondo volume, nel 1615, giungerà in Italia, con l’edizione tradotta, a cura di Lorenzo Franciosini e poi Andrea Baba, stampata a Venezia, tra il 1622 ed il 1625.

La saga epico-cavalleresca che vedeva come protagonista Alonso Quijano, accompagnato dal fedele scudiero Sancho Panza, diverrà, con buona probabilità, il lavoro letterario di fantasia più venduto al mondo. Lo stesso Cervantes, nella premessa de la “Galatea”, romanzo pastorale del 1585, nonché sua prima fatica editoriale dedicata ad Ascanio Colonna, aveva spiegato come avesse servito in qualità di “camarero”, ovvero l’attendente ai servizi di grande cerimoniere, nella cittadina in provincia di Teramo, ma anche a Roma, il giovane cardinale diacono di San Teodoro Giulio Acquaviva, napoletano del 1546, elevato a tale rango da Papa Pio V, il 17 maggio 1570. Cervantes aveva sottolineato come il suo “padrone”, destinato a morire prematuramente, nella Città eterna, a 28 anni, fosse un esaltato, piuttosto distaccato dalla realtà e soverchiato dalla smania di conquistare gloria in battaglia. Tra l’altro Cervantes aveva ricevuto il colpo che gli avesse rovinato la mano sinistra in modo permanente proprio in uno scontro in mare impostogli da Giulio Acquaviva, al seguito della flotta della Lega santa.

Probabilmente lo stesso maldestro alto prelato atriano risultava l’ispiratore dell’errabondo cavaliere pronto a lottare, lancia in resta, contro il mulino a vento (nella foto, particolare, l’illustrazione di Jean-Baptiste “Jules” David, tratta dall’edizione “Historiae de Don Quixote”, volume uno, del 1887, edito a Parigi da Garnier, con traduzione di Jean-Pierre Clarisse de Florian), in sella al proprio destriero Ronzinante. Oltremodo le “chisciotte” erano le brache, bombate in vita, di color vermiglio, abitualmente calzate da Giulio Acquaviva. Stando, invece, alla “Historia della famiglia Acquaviva”, volume edito, nell’Urbe, nel 1738, il vero Don Chisciotte risulterebbe Giovanni Francesco, marchese di Bitonto, figlio del duca Andrea Matteo III Acquaviva, raffigurato, insieme al figlio, proprio in un affresco della cattedrale di Atri.