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25 febbraio

Oggi, ma nel 1922, a Versailles, nel cortile della prigione di Saint Pierre, in Francia, veniva ghigliottinato Henri Landru, detto “Barbablu”, di 53 anni, serial killer con 11 vittime sulla fedina penale.

Parigino, classe 1869, era stato arrestato il 12 aprile 1919, il giorno prima dell’esecuzione capitale, il 24 febbraio, Alexandre Millerand, presidente della Repubblica transalpina, aveva rifiutato la concessione della grazia. Il processo (nella foto, particolare, Landru alla sbarra) era cominciato il 7 novembre 1921 e la condanna era stata emessa il 30 dello stesso mese. Il criminale aveva concupito e sfruttato economicamente le sue “prede”, tutte donne, 10 più un ragazzino, che poi aveva strangolato, fatto a pezzi e bruciato nella cucina della villa di Gambais, dove era in affitto. Poi aveva sparso la cenere sui campi da coltivare. Le truffe e gli omicidi intrisi di misoginia influiranno particolarmente nella cultura cinematografica del Belpaese.

Nel lungometraggio “Toto’ e le donne”, del 1952, per la regia di Mario Monicelli e Stefano Vanzina “Steno”. Anche nel film “Totò contro i quattro”, girato nel 1963, da “Steno. Poi nel poliziottesco “Delitto a Porta Romana”, del 1980, di Bruno Corbucci, con Tomas Milian nel ruolo del maresciallo Nico Giraldi. Anche in letteratura, il romanziere Andrea Vitali, ne “Il meccanico Landru”, pubblicato dall’editore Garzanti di Milano, nel 1992, inserirà un riferimento. Il più celebre femminicida seriale, dopo il londinese Jack lo Squartatore, darà vita, dal suo cognome, ma nella versione accentata, “landrù”, al termine che in milanese significherà: “poco di buono”, “delinquente”. Anche quando la cronaca nera italiana si tingerà del sangue dei tre delitti messi a segno da Cesare Serviatti, di Subiaco, in provincia di Roma, del 1880, fucilato nella schiena il 13 ottobre 1933, a Sarzana, in quel di La Spezia, si farà ricorso alla definizione di “Landrù del Tevere”.