Caterina e la strada

Conoscevo Caterina …

di Giancarlo Odoardi

PESCARA – Diversi giorni fa sono passato, per l’ultima volta, a salutare Caterina. All’obitorio. Si, Caterina, la donna recentemente deceduta, investita da un auto pirata lungo via del Circuito. La conoscevo da tempo, Caterina, una donna semplice, genuina. Aveva preso la patente, ma solo sulla carta perché non era mai riuscita a prendere confidenza, a capire quel mezzo che poi giorni fa … l’ha uccisa, lungo una ordinaria strada cittadina. Già, una strada.

Pescara, come tante altre città, è piena di strade (credo 280 km). A noi tutti sembra normale che una città lo sia. Strade dove si spostano essenzialmente automobili. Anche questo ci sembra ovvio.

Già, ma perché lo è? Perché in una città dove vivono migliaia di persone, lo spazio più condiviso, cioè la strada, è occupato da automobili, tra l’altro nella maggior parte dei casi ferme? Quando è cominciata questa suggestiva consuetudine, mai da nessuno concordata, di lasciare le automobili lungo gli spazi di maggiore socializzazione urbana? Quando si è deciso che le macchine, eccezionale occasione di sviluppo economico, potessero invadere a piacimento tutti gli spazi liberi dell’ambiente urbano? Credo mai: ma è accaduto!

Ma stiamo alla nostra città, Pescara, che peraltro si fregia da tempo della “onorificenza” di “Città dei motori”: qui le automobili ferme lungo le strade occupano uno spazio esteso tanto quanto almeno 60 campi di calcio. Poi ci sono quelle in movimento, neanche tanto minori, che occupano “dinamicamente” ancora altro spazio. Per tutti gli altri utenti della strada c’è lo spazio residuale.

Una consapevolezza ambientale, ormai sempre più diffusa, ci sta facendo capire che le città così come noi oggi le conosciamo e viviamo non vanno più bene. Perché non cambiarle allora? Perché non soddisfare quella domanda latente di altri modi di vivere la città che alla prima occasione si esprime e manifesta in tutta la sua consistenza e maturità?

Una serie recente di fatti lo stanno a dimostrare in modo emblematico.

22 settembre – La chiusura al traffico del lungo mare nell’ambito dell’iniziativa regionale “Chiuso per bici”. Complice anche il bel tempo, migliaia di ciclisti hanno invaso, come un fiume in piena, lo spazio viario liberato dalle auto, tanto da far dire a diversi alti rappresentanti istituzionali: perché non ripetere questa esperienza periodicamente? Addirittura, perché non destinare perennemente metà carreggiata ad altra mobilità diversa dall’auto?

19 settembre – Sei caselli ciclistici, curati da Pescarabici e organizzati nell’ambito dell’evento Day Byke Day, intercettano quasi 3.000 ciclisti che si stanno spostando in bicicletta. Proiettati su un orizzonte annuale, si tratta di milioni di spostamenti. Quale spazio viene riservato a questi? Ad oggi, praticamente pochissimo. Nè, a breve, si prevede ce ne sarà in misura significativa. Anzi.

Filovia – Quanto prima, per una, a quanto pare ineluttabile, scelta urbanistica funzionale, un’area ormai acquisita e assegnata dal basso, democraticamente, alla mobilità leggera e debole, ciclistica e pedonale, la strada parco, verrà liberata da questa per essere destinata ad altra mobilità, sostenibile si, ma in questo caso escludente e alternativa a quella già esistente, già sostenibile. Si rischia un pasticcio!

Certo è che si fa ancora troppo poco per rimediare ad una situazione di conflitto fra i diversi utenti della strada, attrito da tempo evidente e sempre più segnato da sofferenze sociali ed ambientali. Sullo sfondo dell’orizzonte 2020, le amministrazioni più recenti non hanno ancora definito alcun disegno sostenibile di rinnovamento infrastrutturale. Nonostante, come spesso accade, i cittadini siano già pronti per il cambio di scena.

Dov’è la città amica dei suoi cittadini, dei suoi abitanti, di chi la popola e la vive? Dove e quanto lontano guardano i nostri amministratori quando scrutano il futuro per guidarne al meglio lo sviluppo? A guardare il passato e il presente, c’è da suggerire alla prossima Caterina di essere prudente lungo le strade. Forse è meglio evitarle.