I have a dream, anzi I have a bike dream

andare-lavoro-bici-sicurezzaPESCARA - Io ho un sogno a due ruote, e senza motore. In altre epoche si avevano altri sogni, a quattro ruote e a motore. E bisogna ammettere che quei sogni ne hanno fatta di strada, portando la nostra civiltà e la nostra cultura parecchio lontano. Ma lontano da dove? E verso dove? Il tema dello sviluppo delle città, degli aggregati urbani, del territorio in generale, e poi soprattutto della dinamica del tempo e dello spazio, per spostarsi da un luogo all’altro, ha sovente fatto da sfondo a tanti appassionati dibattiti, proiettati sempre su un futuro in continua evoluzione. E qual è il futuro di ... oggi?

A mio avviso, sicuramente e possibilmente quello che decidiamo di scegliere e non quello che ci capita. E, sempre a mio avviso, oggi comincia ad essere un pochino più semplice riuscire a scegliere, a determinare il proprio “destino”, anche collettivo. In tal senso, la possibilità “digitale” di comunicare ci aiuta non poco: i processi decisionali partecipati sono una opportunità che andrebbe colta appieno.
Ma su cosa possiamo “collettivamente” decidere oggi? Su parecchie cose, credo:
- penso alle politiche energetiche: il grande boom del rinnovabile, con gli incentivi o meno, fa intuire un cambiamento di rotta sulle concezioni di un approvvigionamento energetico centralistico, soprattutto da fonti fossili, a favore di uno diffuso sostenibile e sottopone ai decisori ultimi nuovi quesiti per nuove strategie;
- penso alla politica dei consumi alimentari: la nascita diffusa di GAS (gruppi di acquisto solidale) costituisce, seppur nel piccolo, il segno di un atteggiamento diverso nei confronti dei mercati tradizionali, una abitudine nuova che si va diffondendo tutta incardinata sulle filiere corte, sul Km zero, come si dice, e sulla qualità;
- penso alla politica gestionale dei rifiuti, ancora sofferente per carità, ma che riluccica qua e là di esempi virtuosi che piano piano contaminano il proprio intorno.
E poi penso anche alla mobilità, quella nuova.
Che le città siano nel tempo diventate, nella loro interezza e globalità, il “deposito”, nel senso di luogo i cui si lascia custodito o meno della merce, delle automobili è abbastanza evidente. Basta uscire per strada e guardarsi intorno: in Italia 35 milioni di macchine sono sparse lungo le strade, e anche nei parcheggi. Cos’è questa cosa che vediamo? Abbiamo mai scelto di averla o ce la siamo ritrovati? Come mai lo spazio urbano, destinato ai cittadini che abitano la città, è invece occupato da mezzi di trasporto “fermi”? E poi, quando questi mezzi si muovono e ne incontrano altri che arrivano da fuori città, il loro eccessivo numero li costringere a muoversi lentamente, a stare quasi fermi! Per non parlare dell’inquinamento, dell’incidentalità stradale, del peso sanitario, sociale ed economico di questa “non scelta” di modello di sviluppo. Come siamo finiti in questa situazione? Com’è potuto accadere? E’ possibile cambiare? In che modo?
Ecco, queste sono alcune domande su cui diverse generazioni oggi si interrogano; tra le nuove o le precedenti non so chi più dell’altra, l’importante è mettersi insieme per dare delle risposte. Ma non per l’anno prossimo, o per i prossimi 5 anni, ma per i prossimi 10, 20, 50 anni!
Alcune cose appaiono logiche, ma continuano ad essere ignorate:
- la maggior parte degli spostamenti in città sono di pochi km e l’automobile, le automobili, quasi sempre mono passeggero, non sono il mezzo più, adatto, conveniente ed efficiente per farli;
- bisogna cominciare a pensare all’”uso” dell’automobile e non al suo “possesso” e quindi al suo “uso“ condiviso, e a mezzi di trasporto collettivi, cioè ad un sistema integrato di mobilità;
- gli spazi liberati dalla mancanza di necessità di parcheggi possono così tornare ai cittadini, magari in forma più amichevole, con più verde e più spazi sociali, tutto questo in una sorta di escalation di ricerca della qualità di cui la bicicletta potrebbe essere lo strumento trainante, regina leggera del cambiamento.
Oggi la domanda di spazio per le due ruote è aumentata in modo evidente; paradossalmente il segno di questa tendenza viene dal numero sempre maggiore di chi comincia ad essere infastidito dalla loro presenza, dalla loro diffusione. E quindi la soluzione per questi nuovi attriti è una sola: parlarne e trovare soluzioni. Soprattutto per cercare di capire quanto, con l’attuale modello di trasporto urbano, ci stiamo allontanando dal buon senso e quanto invece è necessario fare per riuscire a rimanere allineati e dentro i binari di un nuovo futuro, quello ad esempio della mobilità nuova, che altrove già esiste e che a noi ciclisti piace tanto. E non è un sogno!
Venerdì 27 giugno ne parleremo in un incontro pubblico a Francavilla, evento che stiamo già annunciando sulle nostre pagine virtuali del sito www.pescarabici.org e dei social network.
Giancarlo Odoardi - Presidente FIAB Pescarabici