L'Aquila, fumo di affari e vanità

E’ una mattina di ferragosto che annuncia un giorno caldo, sereno, del quale approfittare, come dicono molti, per staccare la spina.

E’ il giorno giusto per non pensare (ma chi se lo può permettere?) e uscire per qualche ora dal vortice di tante cose dette e poche cose realizzate.

L’Aquila oggi appare sospesa fra un passato recente fatto di una faticosa ricostruzione condita di malaffare e malapolitica e un futuro pieno di incognite. Ma  c’è qualcosa che forse sfugge ai cronisti del giorno per giorno (e a quelli che vorrebbero riscoprire le “famose” inchieste). E’ il progressivo incattivirsi dei rapporti fra le persone, il dubbio costante che ci sia qualcuno pronto a “fregarti”, l’ansia di non arrivare a prendere non tanto i soldi “giusti”, ma quel di più che altri hanno già preso per farsi qualche affaruccio aggiuntivo (soprattutto consolidare la rendita). L’aver trasformato una città di 70.000 abitanti in migliaia di appaltatori senza controllo che possono decidere della vita e della morte di ditte ricattate, ricattabili  o compiacenti, sta iniettando quella dose di cinismo che porta al classico vita mia, morte tua (coi denari degli italiani) . E’ una città del giorno per giorno, dell’affare per l’affare, senza meta. E’ come se dopo aver rimesso a galla   la Concordia la si fosse fatta partire senza sapere in quale porto farla approdare, quindi vagante in un mare pieno di insidie. Questa è L’Aquila oggi, città senza meta e incattivita. Con poco arrosto (visto che siamo a ferragosto) e tanto fumo di vanità.