L'infelicità in un post inutile. O forse no.

L'insofferenza da inizio settimana non è un tema scottante e questo post non cambierà la vita a nessuno. O forse no.

 

Come si chiama quell'apatia fastidiosa, quella voglia improvvisa di andare via e non pensare più a nulla? Una volta si chiamava lunedì, oggi credo si sia trasformata in qualcos'altro. Per molti, il problema non è ricominciare la settimana, ma non avere nulla da iniziare. Il problema non è svegliarsi presto per andare a lavorare, è il lavoro che non c'è. Quello che tiene ancorati i pensieri è l'assenza di speranza. Quella crisi che sentiamo anche senza guardare la tv. Un amaro lasciarsi andare che trasforma ogni giorno in uno svogliato lunedì.

 

Non so se in medicina questa condizione abbia un nome, e se ce l'ha non voglio saperlo. Questa volta chiederò aiuto all'economia (una laurea servirà pure a qualcosa!). Una volta appurato che disoccupazione e inflazione hanno un effetto negativo sulla felicità, gli economisti teorizzano una relazione positiva tra reddito e felicità, con un'accortezza però: a successivi incrementi di reddito dello stesso ammontare corrispondono incrementi di felicità/soddisfazione via via decrescenti. Insomma, superato un tot di ricchezza, la felicità inizia a diminuire.

 

A questo si aggiungono due effetti collaterali. La "sindrome del voler sempre di più": una volta raggiunto un certo livello di reddito, le persone alzerebbero i loro obiettivi, svalutando così quanto raggiunto. E la "sindrome del confronto" o "dell’invidia": non sarebbe così importante il reddito raggiunto in quanto tale, ma il proprio reddito in rapporto a quello delle persone con cui ci si relaziona normalmente.

 

Alla fine, l'infelicità ci trova sempre, a prescindere dal nostro conto in banca. Perché la felicità ha molto a che fare con la libertà e poco con il potere. Peccato che per essere liberi (di scegliere, di godersi la vita, di farsi una famiglia) bisogna lavorare. E siamo punto e a capo.