TURNO DI NOTTE

La pericolosa bellezza del grande tennis

Cosa siamo disposti a rischiare per la bellezza? Secondo la ruminata retorica di questi tempi, la bellezza salverà il mondo. È lecito dubitarne. L’attrazione che essa esercita su di noi è rischiosa. Ne sa qualcosa un uomo di 57 anni di Stezzano in provincia di Bergamo che, domenica scorsa, è evaso dagli arresti domiciliari dove si trovava per non aver pagato l’assegno all’ex moglie, per andare a vedere, in un pub, la finale del torneo di tennis di Wimbledon fra Djokovic e Federer. Lo hanno pescato lì, ipnotizzato da più di cinque ore di rovesci e volèe. Adesso rischia fino a quattro mesi di carcere. Ne è valsa la pena? A questa domanda lui non risponde. Si limita ad ammettere di aver sbagliato, quasi che aggiungere altre parole possa macchiare lo stilizzato candore dello sport dei gesti bianchi, per stare a una definizione dello scrittore Gianni Clerici. Secondo Clerici, che meglio di ogni altro ha raccontato e racconta questo sport, «Wimbledon è il Vaticano del tennis: è come per un cattolico andare in pellegrinaggio a San Pietro». La malìa del grande tennis può essere irresistibile anche secondo David Foster Wallace, lo scrittore americano che, nella sua breve, tragica vita, ne subì il fascino trascendentale: «Il tennis è tragico e triste, caotico e delizioso. E tutta la vita è così».