Terremoto, un bilancio del 2011

Qualche giorno fa sull'autobus per Roma due ragazzi aquilani intorno ai vent'anni, seduti nei posti davanti a quello che occupavo io, si sono scambiati effusioni per tutto il percorso verso la capitale, incuranti di chi stava loro intorno. In quei due ragazzi ho rivisto la serenità, spesso mescolata alla inconsapevolezza, dei miei venti anni quando sognavo una vita migliore di quella toccata ai miei genitori. A un certo punto mi sono chiesto: ma gli aquilani adulti, i rappresentanti delle istituzioni, il mondo della produzione , che cosa hanno fatto negli ultimi mesi per garantire a questi due ragazzi, oggi felici uno nelle braccia dell'altra , un futuro dignitoso? Fra qualche tempo, inevitabilmente, quei due giovani cominceranno a porsi domande e fare progetti: un lavoro che non sia precario, una casa, servizi adeguati per costruire una famiglia , una città sicura che non sia più trappola in caso di terremoto. La risposta è nei fatti che hanno scandito i giorni del 2011 che se ne sta per andare: nulla.

In questa fine d'anno L'Aquila è segnata dalla rassegnazione. Il governo Monti al sindaco Massimo Cialente e al commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi ha detto chiaramente che soldi non ce ne sono, nemmeno per rifare materialmente il capoluogo e la parola d'ordine lanciata è stata: risparmiare.
Mi ha colpito un dato pubblicato sul sito Abruzzo web relativo al compenso percepito nel 2011 dal vicecommissario alla ricostruzione Antonio Cicchetti: circa 230.000 euro (lordi). Con quei soldi ci si poteva rifare la casa a un aquilano, ma non è tanto questo. Continuo a chiedermi se quei soldi sono stati spesi bene, qual è stato il contributo di Cicchetti alla rinascita dell'Aquila. Non mi risulta che il vicecommissario si sia mai recato a vedere le frazioni distrutte dal terremoto, a verificare di persona _ magari passandoci un paio di notti _ come si vive nei map e nei piani Case, che, ora è il caso di dirlo, sono baracche come quelle del 1915 nella Marsica solo che sono state realizzate in meno tempo, con materiali degli anni Tremila e arredate in maniera dignitosa cosa che 100 anni fa non era possibile. Temo che quei 230.000 euro finiranno per ampliare i campi da golf della tenuta che Cicchetti possiede a Santi di Preturo. Naturalmente tutto regolare, tutto tassato, tutto secondo leggi e regolamenti.

Continuo a chiedermi qual è stato il ruolo del capo della struttura tecnica di missione, l'architetto Gaetano Fontana , uomo certamente di grande esperienza e capacità tecniche ma che alla fine sarà ricordato, da chi farà la storia del post sisma dell'Aquila , come il competitor del Comune dell'Aquila , una competizione fatta di dispettucci e scontri a colpi di carta bollata. L'ultimo esempio, e qui sono di parte, è il piano di ricostruzione di Onna, l'unico approvato dal consiglio comunale dell'Aquila che la struttura commissariale ha deciso di mettere in frigorifero adducendo cavilli di ogni genere. In una nazione civile se c'è un problema le istituzioni interessate si riuniscono, discutono e trovano soluzioni. All'Aquila no, meglio che muoia Sansone con tutti i filistei, e chi se importa se c'è gente che non ha più casa e beni propri: attendano e non si lamentino, hanno già avuto troppo. Ma c'è una bella differenza: Cicchetti e Fontana a sera tornano nelle loro belle ville arredate di tutto punto. Gli onnesi, e naturalmente non solo loro, sono in 50 metri quadrati dove ormai è difficile persino spostare una sedia. L'impressione è che il post terremoto finora sia servito soltanto ad alimentare l'enorme struttura commissariale che contiene una miriade di dirigenti tutti, si presume, ben pagati, come furono ben pagati i “dirigenti-eroi” della Protezione civile che operarono nei mesi seguiti al sei aprile del 2009.
Risparmiare? Bene, si smantelli subito la struttura commissariale e se ne faccia una snella, capace di decidere e di rapportarsi con il governo di Roma senza andare ogni volta a chiedere l'elemosina.

E poi c'è il Comune dell'Aquila. Se dovessi coniare uno slogan per riassumere l'attività dell'amministrazione locale nel 2001 direi: ha fatto un bel casino. Cialente e il suo assessore Di Stefano si sono incaponiti sulla questione dei piani di ricostruzione. Loro non li vogliono pensando che L'Aquila possa essere ricostruita in base alle norme del piano regolatore del 1975 che in trent'anni nessuno ha rispettato (basta vedere le enormi e informi periferie) e che oggi invece assurge a timone della rinascita. La struttura commissariale vuole i piani e se non ce l'ha non tira fuori un euro. I piani significano (o dovrebbero significare) regole, sicurezza e pianificazione vera ma questo non piace alle lobby che ogni giorno stazionano fuori dalle stanze dei vari potenti di turno che poi tanto potenti non sono. Il tutto condito dalla campagna elettorale per le amministrative del 2012 per cui le cose non si fanno guardando agli interessi generali ma per avere o mantenere un po' di consensi: questi sono politicanti, non politici. Il risultato è che tutto sta accadendo nel caos più totale: non ci sono punti di riferimento, nessuno sa chi decide e che cosa, gli uffici comunali sono sparsi ovunque, per un timbro ci vogliono mesi, chi lavora (di solito sono i precari) rischia anche di essere cacciato.
In tutto questo è venuto a mancare il ruolo di Chiodi , il presidente -commissario , il quale più che altro è stato guardare, prima legato alla poltrona da esigenze politiche (era il referente del governo Berlusconi), oggi tentennante fra dimissioni e non dimissioni. Chiodi dovrebbe sapere che gli aquilani avrebbero bisogno di risposte e non di minacce di dimissioni che alla fine significherebbero, in mancanza di alternative, semplicemente abbandonare la barca che affonda con il capitano che si salva e il popolo che annega.
Anche gli aquilani hanno avuto la loro parte non certo positiva: molti continuano a vedere nel terremoto un affare, un modo per rimpolpare le rendite perdute, per farsi rifare case che poi andranno affittate. Ma l'interesse personale non è sempre un reato, quello che manca è una visione della città che vada al di là del giorno per giorno. Qui non c'è solo da ricostruire edifici (che con l'aria che tira rivedremo forse fra 20 anni più i tre già passati) ma anche disegnare un futuro fatto di lavoro e impresa sfruttando le potenzialità vere del territorio.
Intanto festeggiamo il nuovo anno. Gli auguri? Certo , non ci restano che quelli in una città distrutta, senza forma e con poche speranze . E allora attacchiamoci per adesso a quelle poche.

(Continua)