Vaso di coccio in mezzo a vasi di metallo

di Giancarlo Odoardi (Presidente Pescarabici)

PESCARA  - Non c'era bisogno di subire un trauma toracico, cadendo proprio in bicicletta, per fare queste riflessioni. Erano già per la strada e si stavano componendo nella mia mente in un susseguirsi di pensieri. Intanto sulla dinamica dell’incidente.
Giovedi 13 marzo, ore 8,30. Provengo in bici da Via Rigopiano. Mi immetto in Via Ferrari dove le auto sono fitte fitte l’uno accanto all’altra in una triplice fila. Mi muovo tra due colonne. Per raggiungere la pista ciclabile di Via De Gasperi affronto la rotatoria all’incrocio con Via del Circuito. La colonna di auto mi costringe a superare la rotatoria mantenendole a destra, ancora in doppia fila. Ci muoviamo tutti lentamente, le auto sono quasi ferme. Curva a destra verso via De Gasperi e davanti a me ancora la doppia colonna di auto. Quella di sinistra è attaccata al cordolo che ci separa dalla corsia in direzione nord. Non ci passo. Piccolo colpo di freno, virata a destra per evitare l’improvviso ostacolo, asfalto liscio, leggera discesa e il gioco è fatto. La bicicletta scivola e io le vado dietro con il mio fianco in una rovinosa caduta.


Arrivo così dall’altro lato della corsia, disteso per terra: le auto sono quasi ferme per cui nessuno mi viene addosso. L’ingresso della pista ciclabile è lì, venti metri più avanti, sulla destra: ci si entra passando tra un paio di insidiosi parapedonali. Irrangiungibile ormai.
A caldo, mi rialzo e mi metto seduto sul bordo del marciapiede, ansimando profondamente, col fiato corto. Diverse persone mi aiutano: chi attacca la bicicletta al palo, chi chiama il 118, che arriva di lì a poco. Pressione 40-70, vista annebbiata, dolori diffusi. Dopo una mattinata al pronto soccorso, tra rx e visite mediche, la diagnosi è: trauma contusivo emitorace, forse due costole incrinate, strappo muscolare gamba destra. A riposo!
Questa versione dei fatti, autentica, andava resa giusto per riallineare qualche racconto diffuso dagli organi di informazione e commentato sui social network.
Apparentemente la colpa dell’accaduto è mia: non sono stato investito, nessuno mi ha tagliato la strada, mi ha urtato, mi è venuto addosso. Però ero in mezzo ad un fiume di macchine come un vaso di coccio in mezzo a vasi di metallo!
Nella nostra città se uno si guardasse intorno con un punto di vista “resettato”, quindi non con gli occhi di tutti i giorni che ormai sono abituati, rimarrebbe impressionato da quante automobili sono ferme per le strade. Lungo i 280 km di vie cittadine ce ne saranno circa 60.000, che messe tutte insieme occupano un spazio equivalente a 80 campi di calcio (immaginate)! Poi ci sono quelle che si muovono, non so quante, che le statistiche dicono passino il 25% del tempo del loro spostamento (due ore al giorno) a trovare parcheggio!
Questa gran massa di lamiere, ferme o in movimento, non produce come effetto solo l’occupazione di spazio (gli 80 campi di calcio), spazio tra l’altro tolto a noi cittadini, ma anche inquinamento atmosferico, acustico, disagio sociale, danni alla salute, incidenti stradali, costi sanitari, costi di manutenzione stradale, assetto urbanistico infrastrutturale autocentrico, percezione estetica dei luoghi urbani (una grande ... bruttezza!).
Le statistiche ci dicono anche che gli spostamenti in ambito urbano sono per l’80% di circa 5 km, di cui il 50% di 1 km circa. Legambiente ci ha ridetto qualche giorno, proprio a Pescara con l’ennesima edizione del Trofeo tartaruga di 3 km di “gara”, dallo stadio alla stazione ferroviaria, che la bicicletta è il mezzo di trasporto più veloce, poi c’è l’autobus e, di gan lunga distaccata, c’è l’auto (una grande diffusione e una grande ... inefficienza!).
Avete notato che nelle pubblicità delle automobili, sempre ambientate in contesti naturali o urbani con grandi vuoti e libertà di movimento (il contrario della realtà) non viene più venduta la sua funzione di trasporto ma l’esperienza di vita che si fa guidandola?
Ma che mobilità è questa? Dove ci ha portati l’inganno di una libertà di movimento che l’automobile, nella sua massiccia distribuzione urbana, è la prima a negare? Che farsene di una città così asservita all’auto? Invadente? Ostile? Inefficiente? Assecondarla o cambiarla? Cosa si è fatto e cosa sta accadendo a Pescara oggi?
Per evitare di dare facili giudizi, voglio citare alcune leggi.
Partiamo da quella nazionale, la n. 366 del 19 ottobre 1998: “Norme per il finanziamento della mobilità ciclistica”. L’art. 2 così recita: “1) Alle Regioni è affidato il compito di redigere i piani regionali di riparto dei finanziamenti per la mobilita' ciclistica e per la realizzazione di reti di percorsi ciclabili integrati. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni provvedono a redigere il piano sulla base dei progetti presentati dai comuni, limitatamente alla viabilità comunale, e dalle province, con riguardo alla viabilità provinciale e al collegamento fra centri appartenenti a diversi comuni. I progetti sono predisposti nel quadro di programmi pluriennali elaborati dai predetti enti, che pongono come priorità i collegamenti con gli edifici scolastici, con le aree verdi, con le aree destinate ai servizi, con le strutture sociosanitarie, con la rete di trasporto pubblico, con gli uffici pubblici e con le aree di diporto e turistiche.”
Niente male, vero? Dopo appena 15 anni, la Regione Abruzzo promulga la L.R. 25 marzo 2013, n. 8, “Interventi per favorire lo sviluppo della mobilità ciclistica”. All’art. 1 la legge recita: “La Regione Abruzzo redige il Piano regionale della mobilità ciclistica”. Quando? Non si sa; al riguardo si legge che la Regione lo deve aggiornare ogni tre anni!
Tralascio il lungo e pregevole elenco dei contenuti del piano, per passare all’art. 4 in cui è previsto che le Province e i Comuni redigono i “piani strategici per la mobilità ciclistica”, tenendo conto rispettivamente dei piani sovraordinati, ove vigenti (quindi, anche se non ci sono!).
Scendiamo al livello più basso, quello comunale. Il comma 6 dell’art. 4 dice:
a) Obiettivi strategici per la ciclomobilità urbana sono:
a) l'incremento della rete ciclabile esistente, privilegiandone la messa in rete;
b) la sua messa in sicurezza, anche attraverso specifica segnalazione;
c) la connessione con il sistema della mobilità collettiva.
Voglio ricordare anche il DM 30 novembre 1999, n. 557 “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili”, da cui è difficile riportare sinteticamente le parti più significative essendone tante, ma di cui voglio citare questo passaggio:
Art. 3 - Strumenti di pianificazione
1. Al fine di predisporre interventi coerenti con le finalità ed i criteri anzidetti gli enti locali si dotano dei seguenti strumenti di pianificazione e di progettazione:
a) un piano della rete degli itinerari ciclabili, nel quale siano previsti gli interventi da realizzare, comprensivo dei dati sui flussi ciclistici, delle lunghezze dei tracciati, della stima economica di spesa e di una motivata scala di priorità e di tempi di realizzazione. Il livello di indagini preliminari e di dettaglio degli elaborati di piano deve essere adeguato alla estensione dimensionale della rete ciclabile ed alla complessità del modello di organizzazione della circolazione delle altre componenti di traffico. Nell'ambito di tale piano è ammessa la possibilità di considerare itinerari isolati che rispettino comunque le finalità ed i criteri di progettazione indicati all'articolo 2. Per i Comuni che sono tenuti alla predisposizione del Piano Urbano del Traffico (PUT), ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il piano d ella rete ciclabile deve essere inserito in maniera organica, quale piano di settore, all'interno del PUT, secondo le indicazioni delle direttive ministeriali pubblicate nel supplemento ordinario n. 77 alla Gazzetta Ufficiale del 24 giugno 1995 (...)
b) i progetti degli itinerari ciclabili, previsti dal piano di cui al punto a), che prevedano anche, ove necessario, la riqualificazione dello spazio stradale circostante; in particolare, i progetti devono considerare e prevedere adeguate soluzioni per favorire la sicurezza della mobilità ciclistica nei punti di maggior conflitto con i pedoni e i veicoli a motore (intersezioni, accessi a nodi attrattivi, ecc.).
Ecco, al di là di quest’ultimo punto che mi riguarda direttamente, in quanto ciclista, per l’incidente che mi è occorso, mi chiedo quanto dell’elenco sopra riportato (e non riportato) si sia fatto o si stia facendo, sia in ambito regionale che provinciale e comunale. Io credo niente. Anzi.
A testimonianza di ciò riporto un ulteriore citazione della Legge nazionale 366/1998: “Norme per il finanziamento della mobilità ciclistica”. Il comma 2 dell’art. 10 recita:
• Dopo il comma 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall'articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360, e' inserito il seguente: "2-bis. Gli enti proprietari delle strade provvedono altresì, in caso di manutenzione straordinaria della sede stradale, a realizzare percorsi ciclabili adiacenti purchè realizzati in conformità ai programmi pluriennali degli enti locali, salvo comprovati problemi di sicurezza".
Noto che a Pescara in questo periodo sono in corso tanti lavori di manutenzione straordinaria della sede stradale, e tanti ne sono stati fatti. Mi chiedo se per norma appena richiamata non ci siano mai state occasioni di applicazione, e se si, quanto si sia stati aderenti a tutto il resto sopra descritto!
Ogni intervento di adeguamento alla norma richiamata, sarebbe stata occasione ghiotta per far aumentare nella nostra città il modal-share ciclistico, ovvero la componente modale ciclistica del traffico in termini di maggiori opportunità e di maggiore sicurezza per gli utenti. Così non è avvenuto e così non sta avvenendo.
Giro abbastanza la città in bici, diciamo circa 5.000 km l’anno: come se percorressi quasi 200 volte tutte le piste ciclabili cittadine. Quindi le conosco bene, so dove sono e ... come sono.
Ed è per me molto facile dire che dal punto di vista dell’applicazione delle norme richiamate, nazionali e regionale, tutta la filiera gestionale amministrativa è ancora all’anno ZERO. Nessuno degli Enti richiamati ha fatto qualcosa di significativo nel senso richiamato dalla leggi, e per quanto riguarda la mia città, vedo che la strategia organizzativa della mobilità, men che meno sostenibile, continua a guardare in tutt’altra direzione.
Le numerose rotatorie, le deviazioni e gli adeguamenti dimensionali e funzionali non mi sembrano in nessun modo contemplare la mobilità ciclistica come cardine di un approccio pianificatorio auspicato se non imposto dalle leggi che nella mia città non saprei dove trovare.
C’è qualcosina, di marginale, realizzato sul marciapiede, sulle aiuole, sullo spartitraffico, insomma dove avanza un po’ di spazio, quello che stavo cercando di intercettare poco prima di cadere in bicicletta. Per evitare il traffico.