Accoltellò il cognato: tre anni e sei mesi

Tentato omicidio, chiuso col rito abbreviato il processo a carico del 29enne originario di Penne

CHIETI. Aveva sferrato due coltellate al cognato preso dal cassetto di cucina durante una lite furibonda. In quel sabato 14 novembre del 2015 aveva sconvolto tutto il quartiere, barricandosi in casa dopo che il cognato, solo sfiorato all’orecchio dalla lama e sfuggito all’aggressione grazie all’intervento di una terza persona, era riuscito a scappare pur rotolandosi rovinosamente per le scale fino a farsi male (con lesioni giudicate guaribili in dieci giorni).

Intanto lui dalla finestra della palazzina in via Lucani al Tricalle continuava ad urlava minacciosamente agitando il coltellaccio. Diceva che lo avrebbe usato contro chi gli si sarebbe avvicinato oppure contro di sé. Solo la la professionalità dei carabinieri e del capitano Federico Fazio è riuscita a riportarlo alla ragione. Sbollita la rabbia, causata dalla richiesta al cognato di 50 euro che gli sarebbero stati dovuti e che non ha ottenuto, il ventinovenne Antonio Di Nenno, originario di Penne, si è ritrovato addosso la pesante accusa di tentato omicidio, oltre che di lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale, con il sostituto procuratore, Marika Ponziani, che aveva chiesto in aula una condanna a otto anni di prigione. Ieri mattina, davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Chieti, Luca De Ninis, si è svolto il processo con rito abbreviato. L’uomo non è riuscito ad evitare la condanna.

Il giudice gli ha comminato 3 anni e 6 mesi di reclusione e lo ha condannato a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Il ventinovenne, ora rinchiuso nel carcere di Madonna del Freddo a Chieti, si era difeso dicendo che non voleva fare davvero male al cognato e che stava vivendo un periodo di grande stress emotivo. La compagna che aveva a Femo lo aveva lasciato e cacciato di casa e lui non era riuscito a superare il dramma cercando rifugio a casa della sorella che lo aveva ospitato al Tricalle. I soldi che aveva chiesto alla vittima erano il corrispettivo per due giornate di lavoro fatte nell’attività del cognato.(a.i.)