Angelini accusa Venturoni: "Piano contro Villa Pini"

L'ex magnate della sanità abruzzese rinviato a giudizio: processo a ottobre con moglie, figlia e altri tre per il caso “villette lager”

CHIETI. L’ex re delle cliniche private esce dall’aula è sbotta: «C’era un piano di Lanfranco Venturoni per far chiudere Villa Pini». Non ci sta Enzo Angelini a subire l’onta dell’ennesimo rinvio a giudizio, questa volta per le cosiddette “villette lager” dove curava i malati di mente più gravi. Così, alla fine dell’udienza preliminare, lancia accuse pesanti: «L’ho detto in aula», premette, «la Asl di Chieti mi chiede danni per 24 milioni di euro, in realtà sono io il creditore di 145 milioni». Quindi parte il siluro contro l’ex assessore regionale alla Sanità: «I tecnici inviati da Venturoni (fa tre nomi, tra cui un noto psichiatra-politico morto di recente, ndr) che per decine di anni ci hanno mandato i loro pazienti». Ma quegli stessi ispettori della sanità privata inviati alle villette della riabilitazione psichitrica, dopo il blitz di Ignazio Marino, il sindaco di Roma che all’epoca (2009) era presidente della Commissione sanità del Senato, decretarono la revoca dell’accreditamento e la fine della struttura. Torniamo in tribunale.

Angelini avverte i cronisti: «Attenti a come titolate domani se no...», quindi descrive la condizione dei malati che curava nelle villette. Ricorre ad una metafora choc: «Erano l’inferno della malattia mentale». Parla di giovani schizofrenici gravissimi, anziani con manie rare, come una donna che faceva a strisce le lenzuola perché doveva mangiarle come se fossero spaghetti o quel paziente che, se lasciato libero, era capace di darsi morsi fino a sanguinare. I medici di quella struttura protetta finita sott’inchiesta erano in trincea. Ma per la procura non è così: Angelini, la moglie Anna Maria Sollecito, la figlia Chiara, difesi dall’avvocato Sergio Menna, e gli altri imputi Giovanni Pardi, coordinatore della struttura, Claudio Cignarale e Vincenzo Recchione, “controllori” inviati dalla Asl, sono stati rinviati a giudizio dal gup, Antonella Redaelli, per accuse che vanno (per i primi tre) dall’aver tenuto aperte strutture di riabilitazione psichiatrica non autorizzate, all’abbandono di pazienti e alla truffa aggravata nei confronti delle Regioni Abruzzo e Marche (i primi tre più Pardi) per oltre 24 milioni di euro spacciando – dice l’accusa – pazienti non gravi come soggetti da curare in strutture protette, quindi gonfiando da 75 euro a 124 le spese di ricovero, e infine, in concorso con Cignarale e Recchione, per aver omesso di segnalare le carenze presenti nelle strutture.

Carenze che la procura elenca in modo impressionante e crudo: feci di topi, cani e gatti randagi, barriere architettoniche, fili elettrici e prese scoperti, pochi bagni e scarso personale, stanze piccole e buie, uscite di sicurezza chiuse a chiave e terapie inadeguate. Insomma, per la procura e il dossier Marino le villette di Torrevecchia e l’ex Paolucci di Chieti erano come lager.

Ma il grande accusatore che ha svelato le tangenti della sanità private, costate la condanna all’ex governatore Ottaviano Del Turco, non ci sta a diventare capro espiatorio di un sistema che per trent’anni ha fatto comodo alle Asl e soprattutto alla politica.