Atessa: Honeywell, chiude la fabbrica. Finisce un'era

Non ci sono più turbo da costruire: le linee si fermano dopo 30 anni, gli oltre 400 dipendenti restano a casa

ATESSA. Linee ferme da lunedì 5 marzo alla Honeywell. Non c’è più nulla da fare, nessun turbo da costruire, nessun pezzo da assemblare e allora non resta che dire ai dipendenti di stare a casa. È questo che ha comunicato l’azienda agli oltre 400 operai: «A partire da lunedì 5 marzo le attività produttive verranno interrotte, pertanto il personale di stabilimento non dovrà più prestare alcuna attività lavorativa, fatte salvo determinate attività che verranno comunicate all’interno di ciascun dipartimento». Ci sono anche orari e giorni per ritirare gli effetti personali: ogni martedì e giovedì dalle 10 alle 12. Finisce così un’era, un periodo dorato in una delle fabbriche dell’eccellenza mondiale del settore automotive, in uno stabilimento che era il migliore tra le 300 aziende Honeywell del globo dal punto di vista del lavoro e della qualità dei prodotti e dove la filosofia vigente, con un sistema operativo che porta proprio il nome di Honeywell, è il miglioramento continuo. Una fabbrica dove i dipendenti si sentivano come in una grande famiglia, protetti da un marchio quotato in borsa e inserito dalla rivista Fortune nella lista delle prime 500 aziende industriali che si sono distinte in termini di volume di fatturato. Degli oltre 400 dipendenti impiegati, fino al 2 aprile, giorno della chiusura definitiva arrivata per colpa di un freddo calcolo di costi e opportunità delocalizzando nella terra dei cugini d’Europa, in Slovacchia, ne resteranno una quarantina che, a rotazione, si occuperanno delle operazioni di dismissione dello stabilimento. Di lì ci si trascinerà fino al febbraio 2019 sotto cassa integrazione e resteranno solo piccole attività di smontaggio e trasmissione dati. Per gli operai coinvolti in queste attività ci sarà un bonus di 500 euro a settimana. Ma, per tutti, è una mannaia che si abbatte su oltre trent’anni di speranze e progetti, la porta chiusa in faccia a lavoro, famiglia, spese, futuro. Eppure, spiegano le rsu, rispetto ad altre vertenze in Abruzzo e in Italia, questa è quella che più di tutte lascia aperto uno spiraglio. C’è il bonus aziendale, la cassa integrazione, lo stabilimento ceduto gratis e, dunque, una prospettiva di reidustrializzazione, con l’impegno di riassumere un terzo dei dipendenti attuali. C’è l’impegno dell’azienda a cercare un nuovo investitore e a formare i lavoratori che restano. È di queste ore la notizia che un’azienda legata al mondo automotive e all’indotto Fiat abbia chiesto le planimetrie dello stabilimento in dismissione e l’elenco dei macchinari. È qualcosa di più di un semplice voler sondare il terreno. E ci sarebbero almeno un altro paio di industrie che si sono fatte avanti con il vice presidente della Regione, Giovanni Lolli. Ci si appiglia a questo mentre sindacati, Governo e Regione lavorano ancora al tavolo della crisi. È l’unica speranza che resta ad un lunedì che arriva inesorabile e in cui non ci si deve più alzare per andare a lavoro.
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