altro caso in puglia

Capodoglio spiaggiato Forse è l’esemplare salvato a Punta Penna

VASTO. Sono molti gli elementi che inducono gli esperti a ritenere che il capodoglio che si è arenato sul litorale pugliese lunedì scorso possa essere uno dei quattro cetacei salvato a Vasto il 12...

VASTO. Sono molti gli elementi che inducono gli esperti a ritenere che il capodoglio che si è arenato sul litorale pugliese lunedì scorso possa essere uno dei quattro cetacei salvato a Vasto il 12 settembre scorso. I veterinari stanno esaminando i resti. Ieri è stato eseguito l’esame autoptico per stabilire il periodo della morte e un prelievo di Dna. L’esame genetico servirà proprio ad accertare se il cetaceo facesse parte del gruppo che si era arenato sulla spiaggia di Punta Penna.

Il gruppo di sette capodogli finito sui lidi vastesi era composto da sette femmine. Anche il capodoglio morto in Puglia è femmina. L’autopsia sugli esemplari arenati sulla spiaggia abruzzese rivelò la presenza di gas nei vasi sanguigni. Il prelievo del Dna e l’esame autoptico sono stati affidati a Nicola Zizzo, dell’Istituto di anatomia patologica della facoltà di Veterinaria dell'Università di Bari. La carcassa è stata ritrovata sul litorale di Porto Cavallo, a Polignano a Mare (Bari).

Lunedì mattina nel corso di una riunione negli uffici della Capitanerie di porto di Bari è stata programmata anche la rimozione della carcassa lunga circa otto metri. Esattamente come i cetacei che erano stati salvati a Vasto. Manca però la pinna caudale e questo fa ipotizzare un burrascoso incontro marino dell’animale.

Sul posto sono intervenuti gli attivisti del Centro di recupero tartarughemarine di Molfetta, personale medico veterinario dell’Asl e militari della Capitaneria di porto di Monopoli. Pasquale Salvemini, responsabile del Centro tartarughe marine di Molfetta, punta il dito contro le tecniche invasive come l’air-gun che producono un rumore fortissimo che spaventa e disorienta non solo i capodogli ma i cetacei in genere. «Questo trauma porta i cetacei a una riemersione troppo rapida con conseguente permanenza di gas nei vasi sanguigni per una mancata decompressione», ha dichiarato alle agenzie di stampa l’esperto. Per Salvemini, l’episodio é l’ennesima testimonianza di come l’uomo e le sue azioni siano la causa della morte del mare. Un’altra prova sarebbe lo spiaggiamento di decine di tartarughe negli ultimi giorni lungo tutta la costa adriatica. Al di là delle ipotesi solo gli esami genetici potranno dare risposte più certe. Le perizie saranno compiute all’Istituto di anatomia patologica dell’Università di Bari. (p.c.)

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