Casalbordino, nascite al minimo storicoLa speranza si chiama Rebecca

È l'ultima nata nel paese in testa per bassa natalità tra i centri del Chietino con più di 5mila abitanti

CASALBORDINO. Non si fanno più figli nel paese dove Maria di Nazareth, la madre di Gesù, simbolo per eccellenza della maternità, è venerata come "Madre dei Miracoli" per avere risparmiato dalla furia della grandine il terreno di un anziano timorato di Dio. A Casalbordino solo a scorrerla la classifica delle nascite dell'ultimo decennio viene da pensare che a fine 2003 sarebbe stato opportuno organizzare una festa come per la vittoria di un campionato di calcio: quei 56 bambini venuti al mondo 8 anni fa rappresentano tutt'ora un record, 4,6 bebè al mese. Anche il 2010 è stato un anno da primato, ma all'incontrario: 45 nascite, il minimo storico per le ultime statistiche: 3,7 nati al mese. Quanto basta per consegnare al paese, con il 7,1%, il titolo di comune con il più basso tasso di natalità della provincia di Chieti tra quelli con oltre 5mila abitanti.

E se continua così, visto che il primo vagito di Rebecca, l'ultima nata il 5 settembre scorso, ha portato il saldo parziale del 2011 a un magro +24, sarà un travaglio e questa volta non dovuto al parto ma al calo demografico: significano appena 2,6 nati ogni trenta giorni. Una iattura, peggio di così non si può. «Qualche altra nascita prima del 31 dicembre è prevista», dice Teresita Sfortunato, impiegata allo stato civile del Comune, «ma sui numeri finali andiamoci cauti. Aspettiamo». Aspettiamo.

Intanto si viene alla luce sempre meno in questo paese di 6.382 abitanti, età media di 44,9 anni, 2,4 componenti per famiglia, economia imperniata sull'agricoltura, mentre il turismo arriva dalla costa dei trabocchi e dal santuario di Maria Santissima dei Miracoli, meta di pellegrinaggio. «Davvero ci sono poche nascite?», chiede conferma scuotendo la testa un monaco benedettino nel convento sulla strada che porta al borgo. «Purtroppo», riprende il religioso, «qui nessuno segue l'esortazione della Madonna, apparsa al beato Muzio nel 1576, a santificare i giorni festivi che, a quei tempi, nessuno rispettava. Oggi come all'ora la partecipazione alla messa della domenica è bassissima. Non lo si vuole capire e si preferisce fare altro. Dico solo: affidatevi al Signore, provvede agli uccellini, figuriamoci agli uomini visto che è il nostro Padre».

Dal religioso ai laici, soprattutto i più anziani, memoria storica del paese e braccia instancabili del passato per tirare su le famiglie. «I figli si facevano anche perché nelle case non c'era la tivù», sostiene sorridendo Michele Di Risio, 80 anni, ex tassista, un figlio. «Ora che la vita media si è anche allungata, niente. E' un'altra cultura». Nicola Moretta, 86 anni, due figli, 450 euro di pensione al mese, è stato coltivatore diretto. «Ai miei tempi», attacca, «per lavorare nei campi si spendevano mille lire per incassare 250 lire. Si poteva andare avanti? No. Oggi è lo stesso: lo scorso anno ho raccolto 150 quintali di uva, ho speso tra concime e trattamenti 2mila euro e ne ho intascati 1.400. E' da matti», si infervora, «lavorare nei campi. E se coltivi ulivi, peggio: non-ti-re-sta-nien-te», urla scandendo le parole. «Prima con un quintale di grano compravo un paio di scarpe», continua indicando i piedi, «oggi per le stesse scarpe ci vogliono 10 quintali di grano. Ci credo che i figli qui non si fanno più. Se vendi la casa trovi chi se la compra, ma se vuoi cedere il terreno agricolo chi se lo prende?».

Altra esperienza, altri ricordi per Nicola Bucciarelli, 82 anni, tre figli, prima manovale alle cascate del Niagara e poi archivista. «In famiglia eravamo sei figli», dice, «ma nonostante le difficoltà si andava avanti lo stesso. A casa mia la miseria non c'è mai stata». Chi, invece, impersonifica l'eccezione è Marco Floris, 34 anni: ha già tre figli maschi, il primo di 5 anni, gli altri due 19 e 4 mesi. Quadra, tonda o graffa che sia, Floris è comunque una parentesi in questo andazzo generale. «Il terzogenito? Volevo una femmina», racconta, «ed è arrivato un altro maschio, ma va benissimo così. Il problema è che qui l'occupazione è scarsa. Sono fortunato perché a 21 anni ho trovato lavoro in Val di Sangro dove sto da 13 anni. Poi i miei genitori mi hanno aiutato per la casa. Ma alla famiglia numerosa ci sono abituato: siamo tre fratelli e due sorelle».

Preoccupato per le poche nascite è il sindaco Remo Bello, 46 anni, commercialista, un figlio, che nel mandato che ha preceduto la gestione commissariale del Comune consegnava alle neo-mamme il kit della prima infanzia con i prodotti per la cura dei bebé pagati con una quota dell'indennità mensile di primo cittadino. Non meno di 4mila euro l'anno di spesa. «Per un paese che vive del lavoro dei campi», spiega Bello, «il calo del reddito è una mazzata. La minore natalità, poi, è un segnale di allarme poiché le scuole rischiano la riduzione di classi e personale. Avevamo approvato un progetto esecutivo per costruire un asilo nido finanziato dalla Regione con 450mila euro, ma il commissario prefettizio durante il suo mandato ha rinunciato all'opera sostenendo che la gestione della struttura sarebbe stata molto onerosa per il Comune. Ecco», sottolinea Bello, «rimandare quei fondi indietro è stata una scelta sbagliata. Potevamo attrarre giovani coppie col nido dando un servizio a costo zero. Sul progetto c'era un'intesa con i comuni di Pollutri e Villalfonsina che avrebbero iscritto i loro bambini nel nostro nido. I fondi per la gestione dell'attività potevamo ottenerli da alcuni locali comunali da affittare. Adesso stiamo facendo le corse per recuperare quel finanziamento».

«Il problema vero», sostiene il parroco, don Silvio Santovito, «è che anche qui è in crisi il valore della famiglia. Aggiungiamoci che l'economia stenta e uno dei primi risultati è il calo delle nascite. Ne parlo spesso con i giovani che sprono a fare scelte fondate sui valori cristiani e che esorto a guardare a Dio come riferimento per il loro progetto di vita».

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