Chieti, due grandi viadotti stanno perdendo pezzi / Foto

Armature scoperte e arrugginite sui pilastri della superstrada e dell’A25 L’esperto non ha dubbi sul rischio: "La manutenzione va fatta subito"

CHIETI. Diciassette pilastri. Quelli centrali sfiorano i sessanta metri di altezza. Ma il viadotto più imponente dell’area metropolitana è malato. Sette di quei pilastri, infatti, perdono pezzi di calcestruzzo. Presentano cioè ampie zone di sfaldatura da cui escono tondini di ferro enormi e soprattutto arrugginiti.

Siamo esattamente sotto il ponte della Transcollinare che unisce il casello dell’A14 di Dragonara con il Tricalle. Da via dell’Acquedotto, accanto al parcheggio con il bus navetta del policlicnico di Chieti, è possibile fotografare i pilastri malati la cui manutenzione spetta alla Provincia.

Ma l’inchiesta del Centro sulle infrastrutture con segni evidenti di deterioramento ci porta anche nella zona del Megalò dove, appena dopo il ponte delle Fascine, che attraversa il fiume Pescara e collega Chieti a Villanova di Cepagatti, si passa sotto il doppio ponte dell’A25. Ma sia a destra sia a sinistra i pilastri, nelle parti più alte che reggono le due carreggiate, sono molto deteriorati. Il ferro delle armature è così scoperto da sembrare un alveare. Pezzi di cemento sono già caduti.

Insomma una situazione che allarma e sulle cui cause ed i rischi Luigi Cerasoli, ingegnere di Pescara, interpellato dal Centro, non sembra avere dubbi.

Dottor Cerasoli perché il cemento si stacca dai pilastri scoprendo l’armatura?

«Tutto è legato a un deterioramento del calcestruzzo che, esposto all'aria, subisce un fenomeno che si chiama carbonatazione. È un processo che purtroppo può portare ad un degrado dello stato superficiale del calcestruzzo che perde la sua caratteristica di aderenza e sigillazione e, fessurandosi, fa arrivare l'umidità al ferro che si trova subito dopo il primo strato chiamato “copriferro”.

Il ferro si arrugginisce, aumenta di volume e fa distaccare la parte superficiale del calcestruzzo».

Quali problemi crea al viadotto? Ci sono rischi?

«Premesso che il fenomeno è naturale, cioè non è dovuto a cattiva esecuzione, con un po’ di attenzione lo si può far avvenire il più tardi possibile. Ma quando si verifica, il pilastro si sfalda e perde materiale in superficie.

Se il processo non viene arrestato si avrà che la sezione resistente, che era costituita di una parte di calcestruzzo e una parte di ferro, potrebbe andare in crisi. Sì, potrebbe succedere qualcosa. Chiaramente parliamo di un processo che già è andato avanti per un bel po’ di tempo».

Ma per quanto tempo un pilastro resiste in queste condizioni?

«Esistono dei coefficienti di sicurezza con i quali vengono calcolati gli elementi strutturali. Se però devo mantenere cento chili non calcolo mai il pilastro per cento chili, ma per un peso molto maggiore. Per cui se una parte del ferro viene rosicchiata dalla ruggine, c'è ancora un bel po’ di margine di sicurezza prima che succeda qualcosa. Parliamo di uno, due o tre anni di tempo».

Conviene attendere o intervenire senza perdere tempo?

«Quello che si vede, il ferro venuto fuori dal calcestruzzo, è un fenomeno naturale che va sicuramente arginato, arrestato, perché non bisogna lasciarlo progredire. Ma non è detto che per la sua sola presenza abbia messo in crisi la sezione della resistenza del viadotto o del cavalcavia.

L'intervento va comunque eseguito perché, come dicevo prima, lasciando il ferro esposto all'umidità si può solo peggiorare la situazione».

Così conclude l’esperto. L’intervento va fatto per evitare il peggio.

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