Chieti, giornalista muore un anno dopo il pestaggio

Si è spento a 54 anni nel reparto di Rianimazione di Pescara Simone Daita, preso a pugni il 28 febbraio 2015 in piazza Vico. Ora l’accusa per Emanuele D'Onofrio diventa di omicidio preterintenzionale

CHIETI. Simone Daita non ce l’ha fatta. Ha resistito più di un anno agli effetti devastanti di quei pugni che lo ridussero in fin di vita il 28 febbraio del 2015 in piazza Vico. Ieri sera il giornalista teatino di 54 anni è morto nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Spirito Santo di Pescara dov’era stato trasferito una decina di giorni fa dalla clinica Villa Pini perché le sue condizioni, rimaste sempre molto gravi, sono peggiorate a causa di una infezione. Il dolore dei familiari è infinito. Ma all’aspetto umano se ne aggiunge uno giudiziario perché ora l’accusa diventa molto più pesante: la morte di Daita è un omicidio preterintezionale. Un anno fa, Simone cadde in coma. Le sue condizioni sono rimaste aggrappate a un filo di speranza per mesi.

Quei due pugni, scriveva a gennaio il consulente della procura, Cristian D’Ovidio, gli hanno causato «una grave compromissione neurologica». Per il pm, Giuseppe Falasca, c’è un solo responsabile di quell’atto di violenza avvenuto in pieno centro della città. Sott’accusa è rimasto solo lui, il giovane teatino Emanuele D’Onofrio, 24 anni, difeso dall’avvocato Roberto Di Loreto, al quale il pm contestava le lesioni personali con l’aggravante del danno insanabile. Nell’avviso di conclusione delle indagini, notificato due mesi fa, il magistrato ipotizzava che «D’Onofrio, nel difendersi dall’aggressione subìta da Daita, eccedeva deliberatamente nella difesa perché, raggiunto al mento da un pugno, percuoteva a sua volta l’altro colpendolo con i pugni su entrambi gli zigomi». Per la procura il giovane indagato avrebbe agito per legittima difesa ma la sua reazione è risultata sproporzionata rispetto a quanto aveva subìto. A tal punto da ridurre Daita in gravissime condizioni, per un futile motivo: una sigarette negata al giornalista. Ma la morte di Simone oggi cambia le carte dell’inchiesta e aggrava di molto la posizione del 24enne indagato. I familiari di Simone si sono rivolti all’avvocato teatino Enrico Raimondi. Ma oggi per loro è un giorno di dolore e silenzio da rispettare in modo assoluto.