I dipendenti dell'Ima durante la protesta

Chieti, indennità accessorie all'Università: batosta da 2 milioni di euro

Il giudice condanna la D'Annunzio a pagare 220 dipendenti e spese legali per 100 mila euro

CHIETI . Università d’Annunzio sconfitta su tutta la linea sull’Ima. L’indennità mensile accessoria (circa 300 euro al mese) dovrà essere corrisposta a tutti i dipendenti. E non solo, l’ateneo dovrà sborsare anche gli arretrati, a partire da agosto 2014. Il primo agosto 2014, infatti, il direttore generale Filippo Del Vecchio decise di sospenderla dopo sollecitazioni arrivate dal Ministero di economia e finanzia. Gli ispettori del Mef avevano sollevato dei rilievi sul pagamento dell’indennità e Del Vecchio decise di tagliare la testa al toro e non erogare più l’Ima. I dipendenti entrarono in fibrillazione e si arrivò davanti al giudice del lavoro.
Grazie alla sentenza del giudice del lavoro di ieri, ora quella decisione di Del Vecchio costa all’università d’Annunzio circa 2 milioni di euro da ridare al personale tecnico e amministrativo, oltre all’obbligo di tornare ad erogare l’indennità e pure il pagamento delle spese legali che ammontano a circa 100 mila euro. Una eredità pesante che il nuovo rettore, Sergio Caputi, si troverà ora sul suo tavolo, non appena si insedierà ufficialmente.
La sentenza è firmata dal giudice Ilaria Prozzo. Ieri davanti a lei sono comparsi gli avvocato Leo Brocchi, che rappresentava 168 dipendenti dell’ateneo, Alessandro Cassigoli, che ne rappresentava altri 52, e Antonello D’Antonio che rappresentava l’università ma non come responsabile degli affari legali bensì in sostituzione dell’Avvocatura dello Stato dell’Aquila cui l’ateneo si è rivolta.
La sentenza contraria alla d’Annunzio era ampiamente annunciata. Il 20 ottobre scorso il giudice del lavoro Prozzo si era già espresso in questo senso rispondendo a un ricorso promosso dal sindacato Cisapuni. Anche in quel caso i 114 dipendenti che erano ricorsi al giudice aveva chiesto a Cassigoli di rappresentarli.
Dopo quella sentenza, l’ateneo avrebbe potuto estendere l’erogazione dell’Ima a tutti i dipendenti e non solo a quelli che avevano proposto il ricorso. L’università, però, non ha voluto farlo e si è andati di nuovo davanti al giudice.
La Prozzo aveva dato ragione ai ricorrenti ripartendo dal contratto integrativo di lavoro firmato nel 2005 che riconosceva il trattamento accessorio come una sorta di ricompensa per la grossa mole di lavoro sostenuta dai dipendenti universitari visto che l'ateneo era sotto-organico. E anche questa volta è rimasta fedele allo stesso principio. «Il giudice», spiega l’avvocato Brocchi, «ha riconosciuto che l’Ima è una obbligazione contrattuale e dunque l’università è vincolata per contratto a erogarla. La retribuzione dei dipendenti è composta di una parte fissa e una che riguarda la produttività, l’Ima appunto, che dunque non può essere tagliata».
«L’Ima, come parte del salario, è intangibile e irriducibile», ha aggiunto l’avvocato Cassigoli, «va a remunerare il maggior carico di lavoro del personale tecnico e amministrativo che alla d’Annunzio è sotto-dimensionato ed è dunque costretto appunto a maggiori carichi di lavoro».
Insomma, l’Ima è dovuta per contratto e un contratto non può essere disatteso. «In attuazione delle previsioni della contrattazione collettiva nazionale», scrive il giudice nella sentenza, «l’Amministrazione convenuta, in data 25-2-1005, ha approvato il contratto collettivo integrativo attribuendo il trattamento accessorio in favore del personale tecnico amministrativo a valere sul fondo di trattamento accessorio nella misura di 300 euro per la categoria D, 280 euro per quelli della categoria C e 250 euro per quelli di categoria B».
Quella del giudice Prozzo sarà sicuramente una sentenza che farà storia. La partita adesso si apre a livello del Ministero di economia e finanza che aveva sollevato i rilievi nella famosa ispezione che poi diede il là all’azione di Del Vecchio.