Chieti, otto profughi eritrei malati di scabbia fuggono dal centro in cui erano ospitati

In 30 spariscono misteriosamente durante la notte dal villaggio di suor Vera dopo essere stati accolti, sfamati e curati

CHIETI. Sono fuggiti nella notte tutti e trenta i profughi arrivati l’altro ieri a Chieti, compresi gli otto che hanno la scabbia. Erano stati accolti nel Villaggio della Speranza di suor Vera D’Agostino. Non senza creare problemi sia all’interno della comunità, che ospita famiglie e bambini (oltre ai profughi della prima tornata per i quali è i corso la procedura di asilo politico), sia nel quartiere di Brecciarola, dove si è diffuso l’allarme contagio.

I 30 extracomunitari, prevalentemente eritrei, sono arrivati nel primo pomeriggio. Tra questi gli 8 con la scabbia, affezione già diagnosticata e curata a Ragusa, primo luogo di approdo. Gli otto profughi, scortati dalla polizia, sono stati portati al pronto soccorso del Santissima Annunziata dove i medici hanno verificato che sei erano affetti dalla malattia già certificata a Ragusa e hanno inoltre assicurato che non c’è alcun pericolo di contagio. Due degli otto avevano invece una situazione più critica. Ma sono stati sottoposti al trattamento terapeutico con sostanze e creme speciali.

«Sono venuti da noi», dice suor Ada, del Villaggio della Speranza, «accolti come al solito da suor Vera, sono stati rifocillati, lavati, cambiati da cima a fondo e sistemati per sicurezza in una casetta lontana dalle altre. Ma poi sono andati via nella notte».

Alla notizia che gli extracomunitari erano stati ospitati da suor Vera, nel quartiere Brecciarola tra gli abitanti si è diffuso l’allarme sulla possibilità di contagio. Tanto che sul posto è arrivata anche la polizia rimasta fino a tardi nel quartiere. Poi la madre superiora è andata anche dal prefetto Fulvio Rocco De Marinis per parlare dello stato di emergenza che si stava creando nella sua casa.

«La situazione diventa preoccupante», continua suor Ada, «perché il processo di immigrazione non è finito qui, noi siamo una piccola cosa, una briciola, così come a Brecciarola in altre parti d’Italia la situazione è la medesima, ma non siamo noi che possiamo risolvere questo problema che deve essere affrontato a mio parere a livello di rapporti internazionali. Mi hanno domandato se siamo favorevoli al fatto che l’Italia riceva immigrati, ho risposto no, no perché non siamo più nella capacità di ospitarli. Poi, alla fine, lo facciamo perché sono esseri umani, per carità e al di là del fatto che non siamo stati rimborsati neanche di un soldo. Non è la convenzione che ci preoccupa».

Inoltre l’altro ieri si è creato anche un problema pratico. Sembra che nel Villaggio della speranza sia scattata una colletta tra volontari e operatori interni per comprare alcuni affettati di tacchino da offrire ai profughi di religione mussulmna».

Una ulteriore emergenza affrontata dalle sorelle e dai volontari della fondazione Figli dell’amore di Gesù e Maria, senza che alcuna istituzione, associazione, abbia offerto il suo contributo.(k.g.)

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