«Condanna esemplare per l’autista ubriaco» 

Travolto e ucciso allo Scalo, la famiglia della vittima vuole giustizia. L’imputato chiede l’abbreviato

CHIETI. «Una condanna esemplare per l’autista ubriaco». La chiedono i familiari del cuoco teatino Francesco Luciani, travolto e ucciso da Mohamed Mouchane, un marocchino di 51 anni che guidava il suo camion dopo aver bevuto 5 volte oltre il consentito. Ieri mattina, davanti al giudice Andrea Di Berardino, si è celebrata l’udienza preliminare a distanza di poco più di un anno dall’incidente avvenuto a Chieti Scalo sulla strada a scorrimento veloce per l’A24. Mouchane ha chiesto l’abbreviato: è accusato di omicidio stradale pluriaggravato. «L’imputato», scrive il pm Giancarlo Ciani, «si è messo alla guida dopo aver assunto una notevole quantità di alcol e, quindi, nella consapevolezza che il suo stato di alterazione psicofisica avrebbe potuto incidere negativamente sulle capacità di condurre veicoli su strada».
Il 20 aprile del 2018, intorno alle 22.30, lo schianto è avvenuto in galleria sulla provinciale Val Pescara-Chieti, la strada che corre dietro allo stadio Angelini. Come ricostruito dai poliziotti della Stradale guidati dal comandante Fabio Polichetti, Mouchane ha bevuto alcol a fiumi prima di mettersi al volante. Tanto che il tasso alcolico riscontrato nel sangue del marocchino è stato di 2,40, mentre il limite è di 0,50. E c’è anche il racconto di un testimone ad addossare tutte le responsabilità all’autista del camion: l’automobilista, che seguiva l’autocarro, ha riferito che il mezzo ha iniziato prima a zigzagare e poi, all’uscita di una curva, è andato dritto invadendo la corsia opposta proprio nel momento in cui arrivava la Smart. Il camion procedeva verso Chieti, l’auto del cuoco andava verso Brecciarola. Luciani non ha avuto scampo: ad essergli fatale è stato un grave trauma cranio-encefalico. Nelle settimane successive all’incidente, il tribunale ha respinto la richiesta di arresto presentata dal sostituto procuratore Ciani. Il motivo? L’indagato, secondo il gip, non poteva più inquinare le prove.
I familiari della vittima, seguiti nel processo penale dall’avvocato Enzo Di Lodovico, sono assistiti dallo studio Giesse con sede a Montesilvano. «I familiari di Francesco non riescono ancora ad accettare quello che è accaduto. Ha lasciato la madre, la sorella, la moglie e due figli adolescenti: Michael, con il quale condivideva la passione per il calcio e per la cucina, tanto che oggi fa il cuoco, e Carola, legatissima al suo papà», dice l’avvocato Gianni Di Marcoberardino, responsabile della sede Giesse di Montesilvano. «Ora Michael non riesce più a giocare a pallone e non è mai riuscito ad andare al cimitero: la sua rabbia è ancora troppo grande verso quella persona che ha distrutto la sua famiglia. Attendiamo la prossima udienza del primo luglio, avendo massima fiducia nella giustizia e auspicando una pena esemplare nei confronti del responsabile». (g.let.)