D’Arcangelo: «Io, vittima di illeciti altrui» 

Gli interrogatori, si difende il procacciatore di affari. In silenzio l’impresario funebre Di Biase e il figlio

CHIETI. Solo due parlano, gli altri restano in silenzio. Ieri è stato il giorno degli interrogatori, davanti al giudice Luca De Ninis, per i 6 arrestati abruzzesi della banda del fisco. Il «capo area» Maurizio Di Biase, l’unico finito in carcere, si è avvalso della facoltà di non rispondere: assistito dagli avvocati Ivan Notaristefano e Pasquale Provenzano, potrebbe decidere di fornire più avanti la sua versione dei fatti. «Aspettiamo di conoscere e leggere nel dettaglio le carte dell’inchiesta», spiegano i legali. Bocche cucite anche per il figlio Mattia Di Biase, difeso dall’avvocato Annalisa Cetrullo, Matteo Veneziani e Orazio D’Ambrosio.
Ha invece parlato, e per più di un’ora, Lorenzo D’Arcangelo, ritenuto dagli inquirenti il «personaggio di maggiore spessore criminale» e considerato un procacciatore di clienti all’interno dell’associazione a delinquere pronta ad allargarsi anche in Lombardia. «D’Arcangelo ha respinto ogni accusa», spiega l’avvocato Augusto La Morgia, che difende l’indagato insieme alla collega Concetta Di Luzio. «Il mio assistito ha raccontato di essersi affidato a un professionista napoletano, Renato De Luca (ritenuto al vertice della banda, ndc), per affrontare la sua posizione fiscale: se sono stati commessi degli illeciti, D’Arcangelo è stato indotto in errore ed è lui stesso una vittima». Per il gip, invece, l’imprenditore di Casalincontrada «ha conquistato rapidamente la fiducia dei gestori campani. Altrettanto rapidamente, però, ha tradito il pactum sceleris e ha tentato di sostituirsi ai due professionisti campani, o più semplicemente ha simulato di farlo con i clienti dai quali aveva già incamerato il denaro, giungendo in poco tempo a maturare un debito per compensi non versati stimato in ben 400 mila euro». Anche Romeo Melaragna, per l’accusa un altro procacciatore di clienti, ha risposto alle domande del giudice. «Il mio cliente», dice l’avvocato Marco Di Giulio, «è completamente estraneo ai fatti contestati. Ha agito in perfetta buona fede mettendo in contatto alcuni suoi amici di Modena con due professionisti napoletani che gli erano stati presentati come tributaristi».