«Due pugni in faccia Così è morto Daita»

Il medico D’Ovidio racconta in aula l’omicidio in piazza Vico

CHIETI. I pugni in faccia, «almeno due, perché vi sono fratture su tutti e due lati del viso», e per Simone Daita si «è spenta la luce». Come un pugile suonato ha barcollato ed è caduto a terra all'indietro, a peso morto, fratturandosi anche il lato posteriore della testa. È la ricostruzione del consulente della procura Cristian D'Ovidio sulle cause che da lì a poco più di un anno hanno portato alla morte il giornalista teatino di 52 anni. Il venticinquenne Emanuele D'Onofrio, accusato di omicidio preterintenzionale per la sua morte, ha sempre detto di aver colpito Daita una sola volta e per reazione a un altro pugno che aveva sferrato l’altro per primo. Circostanza confermata anche dalla ventiduenne Francesca De Vincentiis, l’unica ad aver visto l’aggressione di Daita. Ieri in corte d’assise, la ragazza ha descritto Daita come «alterato», «minaccioso» e con la «bava alla bocca». «L'ho visto buttarsi addosso ad Emanuele», ha detto, «e colpirlo con un pugno. Mi sono spaventata e sono scappata dentro il gazebo del bar Bon Bon. Per cui non ho visto quello che è successo subito dopo. Ma ho sentito un tonfo, mi sono girata e ho visto Daita a terra, sotto i portici davanti alla serranda abbassata dell'ottico». Il pm Giuseppe Falasca e poi anche il giudice Geremia Spiniello le hanno chiesto di spiegare meglio cosa ricordava di quel pugno e lei ha detto chiaramente che Daita, un po’ più alto dell’imputato, aveva caricato visibilmente il braccio con il gomito all’indietro per poi colpire D’Onofrio che era di spalle alla serranda dell’ottico.

La seconda udienza dell processo sull’omicidio Daita è partita ieri mattina alle ore 9 di fronte alla corte d’assise presieduta da Spiniello con l’altro giudice togato Isabella Allieri e otto giudici popolari (sei effettivi e due supplenti). Intorno alle ore 13.20 la seduta è stata aggiornata al 12 luglio per l’ascolto degli ultimi testimoni e la discussione. Il giovane imputato era presente in aula seduto in prima fila accanto al suo difensore, l’avvocato Roberto Di Loreto. Ha ascoltato tutto senza fare una mossa fino alla fine. C’erano anche i genitori e il gruppetto di amici che lo ha aspettato sino alla fine. La parte civile era rappresentata dagli avvocati Mauro Faiulli, che assiste i genitori di Daita, ed Enrico Raimondi, che rappresenta il fratello e le due sorelle. La famiglia ha chiesto un risarcimento di 1.670.000 euro. L’udienza è partita ascoltando le forze dell’ordine citate come testi. Da Antonio Marcuccitti, che accolse D’Onofrio in questura quando poco dopo le 5.30 del mattino si presentò per raccontare l’accaduto, a Fabrizio Purgatorio della Squadra mobile, ad Alessandro Di Michelangelo, all’epoca alla Digos, che hanno condotto le indagini. Poi ha parlato Carla Cinzia Carrabs, medico del Pronto soccorso che aveva visitato D’Onofrio. Il ragazzo era andato in ospedale riferendo di essere stato colpito da un pugno al mento e la dottoressa diagnosticò una contusione al viso e riferì che il ragazzo si era informato anche delle condizioni di Daita. Poi ha parlato Simona Mancini, titolare del Bon Bon che conosceva Daita, lo vedeva spesso «non lucido» e per questo aveva deciso di non servirgli più da bere. Gianluca Lorenzi, presente quella notte, si è soffermatosull’atteggiamento «provocatorio» di Daita, emerso in tutte le testimonianze di chi era presente quella sera. Per il pm, però, Daita generava solo «fastidio», per l’avvocato Di Loreto si trattava, invece, di «timore». Una testimonianza importante è stata quella di Andrea Belfatto, l’amico che quella sera aspettava D’Onofrio al bar, il primo ad essere avvicinato da Daita con la richiesta di una sigaretta e poi insulti. Si era preso pure del «fascista». Poi hanno testimoniato Roberto Di Muzio, la barista Patrizia Palazzi, il cantautore Paolo Tocco. Tutti hanno confermato che D’Onofrio non è scappato appena dopo l’aggressione. E infine hanno parlato l’amico di Daita Silvio Di Primio e il medico del Pronto soccorso Carmela Morelli.