Chieti

Falso ideologico, Colantonio condannato a 8 mesi

Ventisei firme elettorali disconosciute: il pm aveva chiesto l’assoluzione, il giudice non fa sconti. Ora l’assessore è pronto a dimettersi, ma il sindaco Di Primio gli risponde: "Resti al tuo posto"

CHIETI. Vuole dimettersi dopo la condanna a 8 mesi e quindici giorni per falso ideologico l’assessore ai lavori pubblici, Mario Colantonio, anche se la decisione non è stata presa. Verrà prima valutata con il sindaco, Umberto Di Primio. Sta di fatto che ieri mattina il giudice, Antonella Redaelli, con motivazioni che depositerà tra appena 15 giorni, gli ha inflitto la pesante condanna che potrebbe far rientrare l’assessore nelle maglie della legge Severino. Anche se la norma parla di sentenza definitiva, cioè dopo il terzo grado di giudizio, sia per la decadenza dalla carica di assessore sia per l’incandidabilità alle prossime amministrative. Ma in pochi, ieri in tribunale, si aspettavano la condanna di Colantonio, difeso dall’avvocato Gaetano Berardi, dopo che lo stesso procuratore capo, Pietro Mennini, aveva chiesto la sua assoluzione argomentandola su tre punti sostanziali. Il primo: l’assenza del dolo. Il secondo: una vicenda giudiziaria da inquadrare in ciò che solitamente accade, o può accadere, durante la raccolta delle firme a sostegno delle liste elettorali. Il terzo: la possibilità che Colantonio, all’epoca dei fatti semplice consigliere comunale, non volesse ingannare qualcuno ma al contrario fosse rimasto vittima di un inganno, o di un falso indotto. Al massimo, secondo il pm, poteva trattarsi di una leggerezza, una colpa dovuta all’impossibilità di controllare l’intero iter della raccolta di firme per le liste. Di questo si trattava. Erano due elenchi di firme a sostegno del listino di Gianni Chiodi, firme raccolte e certificate in due distinte postazioni nell’ottobre del 2008. Ma 26 firme di uno dei due elenchi, pur essendo accompagnate da relativi numeri di patenti o carte d’identità, vennero disconosciute dai diretti interessati che, per una singolare coincidenza, afferivano quasi tutti all’allora consigliere regionale Bruno Di Paolo che, proprio in quei giorni del 2008, decise di non presentarsi più alla competizione elettorale privando del suo appoggio Chiodi. A presentare l’esposto fu, subito dopo, un esponente dell’Idv. A distanza di sette anni, Colantonio è stato condannato in qualità di consigliere comunale certificatore che in due postazioni, sul Corso e in via degli Agostiniani, aveva il compito di identificare i firmatari. Ma non poteva avere il dono dell’ubiquità.

«Non ci sono ragioni giuridiche, meno che meno di carattere etico-morale perché io ritiri le deleghe assessorili a Mario Colantonio ovvero perché lui lasci il suo posto di assessore. Non voglio commentare la sentenza del tribunale di Chieti, ma credo vada appellata per ristabilire la verità su una vicenda che vede ingiustamente condannato oggi Colantonio». Lo ha detto il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio, intervenendo sulla condanna inflitta ieri all'assessore ai lavori pubblici per falso ideologico in relazione all'autenticazione di 26 firme sulle liste elettorali. «Se passasse il principio che ha animato il giudice di Chieti, nel raccogliere le firme, oltre al documento, dovremo fotografare anche chi sottoscrive. È di tutta evidenza, dunque, anche per quanto accaduto in altre cause celebrate innanzi al tribunale di Chieti aventi medesimo capo di imputazione (per fortuna risoltesi con l'assoluzione dell'imputato), che oggi allo sconfitto alle elezioni, al pari del non eletto, basterà dichiarare che taluno non ha firmato quella lista, ovvero non ricorda se ha firmato o meno, e perché no, anche che quella non è la sua firma, per innescare un procedimento penale che ha quale unico effetto danneggiare il malcapitato consigliere o assessore che si è offerto di autenticare le firme».