Gamberale, il borgo più alto del Chietino

Vita più cara a causa di neve e freddo. Il sindaco Varrati: il rilancio con la nuova sciovia

GAMBERALE. La gente di qui spende un occhio della testa per campare, ma non ha le mani bucate: tutt'al più le ha callose per spalare la neve e lavorare la terra. Perché nascere da queste parti significa tirar fuori tanti quattrini senza poi vivere alla grande. E' un paradosso, col destino dei residenti segnato nel Dna dall'"enzima del controsenso": quello che impone di consumare una consistente quota di reddito per fare comunque una vita di sacrifici. Ma quell'enzima ce l'hanno dentro, fa parte di loro, l'accettano e amen.

A 1.343 metri di altitudine, dove di notte le stelle si fanno quasi accarezzare una ad una, non può permettersi di scialaquare soldi Esterina, 75 anni, che per riscaldare la casa in 40 giorni di freddo intenso ha pagato 1.200 euro di gas metano. Deve mostrare attenzione alle finanze Marco, 46 anni, che per far sgomberare dalla coltre bianca una decina di chilometri di strade prevede nel bilancio del Comune 250 euro di gasolio per ogni quattro ore di utilizzo del caterpillar. Non può sperperare capitali all'infinito Marcello, 51 anni, visto che ogni volta che semina orzo, avena, mais e patate, orde di cinghiali gli distruggono la rendita dell'investimento.

A Gamberale, il paese più alto della provincia di Chieti, 331 abitanti, 144 famiglie, 393 case, per vivere con 7.887 euro di reddito medio hanno imparato prima a difendersi. Il che significa fare i conti: dare e avere, entrate e uscite, anche tamburellando il naso con le dita se serve a sfoderare numeri per far quadrare il cerchio. Altro che calcolatrici. Vale per la massaia Esterina, per il vigile urbano Marco, per l'imprenditore agricolo Marcello. L'alternativa è abbandonare il paese il cui destino storico, sociale ed economico è legato ad una sola parola: montagna.

La gente è penalizzata nei periodi invernali, lunghi e silenziosi. E il nemico numero uno causato dal freddo e dal gelo ha un nome che fa due volte rabbia: inflazione indotta. Non basta quella che già deprezza le tasche e svaluta gli spiccioli rimasti. No. Qui tutti i prezzi aumentano da ottobre a maggio per effetto del clima. I negozi non ci sono e gli ambulanti che salgono fino alle pendici dei monti Pizzi, la merce la fanno pagare saporitamente. Il riscaldamento nelle case è acceso da settembre ai primi di giugno e le bollette sono a tre zeri, senza sgravi sull'Iva pagata come in una località di mare dove il gas metano è utilizzato molto meno. I consumi di energia elettrica sono maggiori. La pulizia delle strade dalla neve che spesso supera due metri, è una delle principali voci in uscita del già magro bilancio comunale, e sono risorse tolte ad altre necessità. Per il resto non una banca, niente scuole né un distributore di benzina. Meno male che le Poste ci sono, la farmacia pure e anche due bar, ma quello del centro è aperto nei festivi e in estate.

Eppure la gente è piena di brio e rispecchia appieno la motivazione della Medaglia d'argento al merito civile: "ammirevole esempio di spirito di sacrificio". Il sacrificio, già: qui tutto è fatica, privazione, rinunce, ricordi, lacrime. Lo è stato anzitutto per la guerra, con il paese al centro della linea di resistenza tedesca Gustav da dove si dominava la valle del Sangro. E poi i nazisti, il generale Kesserling, le requisizioni, rastrellamenti, bombardamenti, distruzioni, «kaputt»: 80 morti e il borgo raso al suolo, cancellato dalla carta geografica.

Eppure la vita è ricominciata ed è andata avanti lo stesso facendo un dispetto anche al gambero rosso dello stemma del Comune, il crostaceo che manco a farlo apposta cammina all'indietro. Ma qui guai ad arretrare. E' il caso di dire: "costi quel che costi": «E' l'amore per la nostra terra che ci fa restare», dice il sindaco, Corrado Varrati, 56 anni, al secondo mandato. «Ecco», riprende, «si vivrebbe meglio se la politica rivolgesse più attenzione alle zone interne. Qui manca il lavoro e nel nostro lungo inverno tutto costa di più. Ci vuole il fuoristrada, il telefonino, devi muoverti per ogni minima cosa che ti serve e ciò significa consumare benzina. La gran parte della popolazione è fatta di anziani: hanno paura di sentirsi male all'improvviso e di non arrivare in tempo a un pronto soccorso per le cure. Castel di Sangro è a 30 chilometri, Sulmona a 50, Lanciano a 70. Un altro problema», sottolinea Varrati, «lo abbiamo col Parco della Maiella: una volta con l'uso civico garantivamo la legna ai nostri paesani come sempre. Oggi, invece, con l'area protetta i tempi per il rilascio delle autorizzazioni si sono allungati a oltre un anno e i più non vogliono aspettare».

Marco Bucci, l'unico vigile urbano, non ha dubbi: «Il problema principale è la neve che può bloccarti per giorni», spiega, «per pulire 35 chilometri di strade ci muoviamo tra 15 contrade e centro storico. Non possiamo mica lasciare la gente in casa? Certo, il Comune ha un caterpillar e un bobcat, ma per farli funzionare se ne va un capitale tra gasolio e personale: 30mila euro l'anno. E meno male che una grossa mano ce la dà la Provincia che qui ha un rimessaggio dei veicoli». La produzione agricola è molto praticata nelle zone più a valle dove si sono trasferiti i pastori della transumanza. «Ma abbiamo un guaio con i cinghiali», segnala l'imprenditore Marcello Conicella, «mangiano tutto ciò che trovano e fanno danni. Anche sotto questo aspetto ci vorrebbe più attenzione delle istituzioni alle realtà produttive».

Ma la carta per il rilancio la sfodera il primo cittadino: ecco freschi freschi - ma non per l'altitudine - 900mila euro di fondi Fas per rifare la sciovia di 600 metri ripresa dal Comune a un privato e ferma da anni. «In questo impianto ci crediamo», sottolinea Varrati, «e può essere davvero la carta vincente per rilanciare il paese. Se la sciovia riparte c'è una percentuale alta di turisti disposta a tornare e che già conta su alberghi e ristoranti».

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