«I clienti non mi pagano Io costretto al fallimento»

Il dramma di un piccolo imprenditore che cura gli arredamenti sui treni «Ho crediti per 150 mila euro, ma la banca non mi concede neppure un euro»

LANCIANO. La chiusura di una fabbrica, seppur piccola, è sempre una sconfitta non solo per il proprietario, ovviamente, ma per tutto il territorio in cui opera. Queste sconfitte, che risucchiano l’ottimismo e si perdono nel silenzio, con la crisi sono sempre più all’ordine del giorno. È così anche per una piccola industria a conduzione familiare, con 6 dipendenti, in Val di Sangro, che si occupa di arredamento ferroviario.

L’azienda, nata quasi 10 anni fa, è ad un passo dal baratro del fallimento, pur vantando dei crediti da privati e istituzioni. Una situazione paradossale, non unica nella zona, che fa indignare e riflettere il proprietario che non riesce a stare in silenzio, ma lancia un grido di allarme contro un sistema fatto di banche che non concedono fidi e amministrazioni pubbliche che non pagano che strozza l’imprenditorialità, la piccola imprenditorialità.

«Sono sull’orlo del fallimento», racconta l’imprenditore che preferisce restare nell’anonimato, «a causa però dell’impossibilità di riscuotere crediti vantati verso Trenitalia, istituzioni e privati che, come conseguenza, mi impediscono di pagare i fornitori, e che si rifanno sulle banche le quali, a loro volta, non concedono fidi, mutui, strozzano il sistema rastrellando tutto quello che possono dai vari conti senza dare la possibilità all’imprenditore in difficoltà, di rifarsi. Se le banche lasciassero una piccola parte dei soldi, potrei pagare i fornitori, anche se poco e riprendere piano piano il giro. Invece no».

L’imprenditore ha un credito di 150mila euro con le istituzioni e i privati, ma uno dei fornitori, non pagato, ha chiesto il fallimento della ditta per poter intascare qualcosa. «La logica è quella tipica mors tua, vita mea», dice, «ma non deve essere questa la logica tra piccoli imprenditori della zona che invece dovrebbero stare assieme, fare veramente squadra e creare sul posto imprese che possono diventare dei colossi. Invece qui si punta all’indotto, ad essere granellini di polvere di colossi che poi da un momento all’altro vanno via. Abbiamo competenze, conoscenze, qualità, progettualità per crescere ed evitare di essere strozzati e ingoiati da un sistema che guarda solo ai potenti. Se sei una grande impresa hai le porte aperte, le banche sono pronte a rimetterci milioni, ma noi piccoli moriamo nell’indifferenza perché non riusciamo a concorrere, non otteniamo fidi e muti che sono fondamentali».

Una visione forse utopistica ma che è condivisa dalle piccole ditte, che spesso mettono in gioco non solo soldi e creatività nell’ideare società, ma proprio il valore della famiglia. «Se la mia azienda dal fare solo finestrini e sedili è arrivata a poter ristrutturare intere carrozze vuol dire che abbiamo le competenze e conoscenze per poter lavorare. Ma siamo piccoli imprenditori, senza paracadute, con bilanci in bilico e fatturati non grossi e così abbiamo dovuto ad esempio rinunciare ad un appalto sostanzioso di Trenitalia».

Il problema che evidenzia l’uomo è anche che spesso gli imprenditori della zona sono snobbati dalle industrie più grandi della Val di Sangro e della zona. Ad esempio la sua ditta per l’imbottitura dei sedili si rivolge a una ditta di Avellino, per l’alluminio ad una di Brescia. «In Val di Sangro ci sono industrie del genere», evidenzia, «ma creano ostacoli burocratici che ti spingono ad andare fuori. E io sono rimasto in Italia, molti, tanti altri, vanno all’estero. Perché deve esser così?».

Teresa Di Rocco

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