I tre bulli restano agli arresti

Sentiti dal Gip per i minori, ammettono tra baldanza e mezze verità

CHIETI. Uno di loro ha mantenuto la sua baldanza. Tutti hanno ammesso, ma si sono scaricati a vicenda le colpe. Qualcuno è caduto in contraddizione. I tre ragazzini terribili, accusati di 14 rapine su 25 coetanei, tuttavia non devono aver convinto il Gip dei minorenni Cecilia Angrisano.

RESTANO IN CARCERE. La giudice ha sentito i tre ragazzini di Chieti, due di 17 anni e uno di 16, considerato il «boss» del gruppo- arrestati lo scorso giovedì dagli uomini della squadra mobile teatina - nel contesto dell'interrogatorio di garanzia. A fine udienza gli avvocati Lucio Pellegrini, Cristiano Sicari e Antonella Capretti (che però ha delegato una collega), hanno chiesto per i baby assistiti misure cautelari più morbide (l'avvocato Sicari ha inoltrato anche un'istanza al tribunale del riesame). Ma la Gip si è riservata la decisione, perché dovrà comunque sentire il parere del pubblico ministero che ha chiesto le custodie cautelari. Per ora due sono tornati nel carcere minorile di Roma «e dovranno stare in celle separate», ha detto la dottoressa Angrisano, mentre l'altro, cui si contesta un solo episodio, resterà agli arresti domiciliari.

LA GIUDICE. Di fronte a un quadro accusatorio importante, soprattutto se si considera la giovane età degli indagati, e di fronte a un pentimento mancato, soprattutto da parte del più piccolo, e alle deposizioni non sempre univoche, la giudice ha cercato di fare comprendere la gravità delle accuse e che c'era poco da stare allegri. I veri delinquenti hanno un progetto, voi che progetto avete? Avrebbe retoricamente chiesto a ognuno. Perché avete combinato tutto questo?.

I MINORENNI. «Così, per divertimento» ha risposto il più piccolo. Sette ragazzi fatti inginocchiare e picchiati dentro una scuola, minacciati, vessati psicologicamente. Altri, in tutto 25, rapinati di soldi, cellulari, chiavi del motorino, macchine fotografiche, sottoposti a un continuo assedio estortivo e di paura. Tutto questo fatto «per divertimento».

COMPLICI e «COGNATI». Come hai conosciuto Y? ha domandato la giudice a X, il sedicenne. «Perché è fidanzato con mia sorella». Un vero delinquente non permetterebbe alla sorella di stare con un poco di buono, ha commentato la giudice. La stessa domanda è stata rivolta a Y che ha risposto in modo identico. Ma alla seconda domanda ha detto «Certamente no».

SCARICABARILE. «I cellulari non li avevo io li ha presi Y», «Ho dato un pugno non con intenzione, ma per un incidente» dice il giovane dalla posizione più leggera. «Non eravamo drogati». «Si mi sono fatto qualche canna».

LA DROGA. «Non eravamo fatti», risponde il più piccolo. «Sì abbiamo preso della droga» dice un altro, le analisi del sangue eseguite appena entrati nel carcere minorile di Roma, lo confermano.

ACCUSE GRAVI. Per i due, la cui posizione è più grave, oltre alla accuse che hanno comportato gli arresti ce ne sarebbero altre in arrivo. Il più piccolo, il 7 ottobre, sarà sentito dalla stessa giudice per una presunta violenza carnale consumata quando aveva 14 anni su una coetanea. Lo sai che se vieni condannato, dovrai scontare 4 anni? Ha detto la giudice. E se un anno lo sconterai nel carcere minorile gli altri tre li farai a Regina Coeli o a Rebibbia. «Vedremo» avrebbe risposto il più piccolo. Un sorriso triste e amaro è comparso sul volto dei poliziotti romani che hanno accompagnato i due giovani all'Aquila.

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