Il cameriere abruzzese di Hitler e Eisenhower: la storia

Da Villa Santa Maria alla tavola del fuhrer: l’eccezionale vita di Salvatore, il cameriere che aveva accesso al Nido delle Aquile e lavorò anche per Gigli e Carnera

VILLA SANTA MARIA. La vita di Salvatore Paolini (1924-2010) potrebbe dar spunto o una trama per un film o a un romanzo, di quelli per intenderci, dove la storia “semplice” di un personaggio è narrata in primo piano e dietro, quasi sfocata, s’intravedono le vicende di altri uomini, quelli che hanno fatto la “grande storia”.

La prima scena di questo ipotetico film è in un interno e potrebbe riprendere Salvatore nella sua divisa da cameriere mentre mesce del vino ad alcuni militari seduti attorno a un tavolo. Primo a essere servito è un uomo i cui soli “baffetti” ne rappresentano l’icona: Adolf Hitler. Poi è la volta di Heinrich Himmler, l’ideatore dei campi di sterminio; Hermann Goering, definito l’esteta del male; Martin Bormann, influente segretario del Führer; Joseph Goebbels, potente ministro della propaganda del Terzo Reich; il dottor Theodor Gilbert Morell medico personale di Hitler.

Un tavolo di tutto rispetto attorno al quale pianificare le sorti nefaste dell’Europa e del mondo. Poi il cameriere esce sul terrazzo di quella dimora, il Nido delle Aquile, che si trova sulle Alpi Bavaresi - a una ventina di chilometri dalla città austriaca di Salisburgo - e porge una coperta a una donna, Eva Braun, compagna di Hitler. Non male come inizio di un film anche se Salvatore Paolini ha vissuto realmente quelle scene. Inizia a lavorare subito. Il padre, Vito, emigrò negli Stati Uniti, dove divenne minatore e responsabile di una “squadra” della General chemical Hook company.

Nel 1923 fu costretto a tornare in Italia per assistere la moglie gravemente malata. Salvatore inizia a lavorare a 14 anni al “Nuovo Albergo” di Villa Santa Maria. Poi, fatte le ossa, andò a Roma, a servizio del principe Colonna. Poteva accontentarsi, il giovane villese, della paga non alta, ma l’indole non era quella. Passò al Diana, buona paga e bell’ambiente internazionale, soprattutto ufficiali tedeschi, sui quali il giovane abruzzese fece una buona impressione tanto da ottenere avere un contratto per la Germania.

INIZIA L’AVVENTURA. «Papà», racconta il figlio di Salvatore, Vito, «iniziò a lavorare alla Kurhaus di Bad Mergentheim, una cittadina termale. Lì incontrò il direttore del Platterhof, l’albergo dell’Hobersalzberg, dei gerarchi nazisti, vicino alla residenza privata di Hitler, che propose a mio padre di andare a lavorare al Nido delle Aquile».

Il giovane accettò, ignaro che qualche giorno dopo i carabinieri si recarono a casa dei suoi genitori per prendere informazioni e certificare che non fosse ebreo. I ricordi di quel periodo sono ancora vivi nel figlio Vito. «Papà ha più volte raccontato che il Fuhrer mangiava patate, verdure e legumi, mai carne, tanti dolci, poco vino. Il suo carattere era conviviale, voce quieta, formale. Papà raccontava che una volta Goering prese in modo scomposto del prosciutto al forno e Hitler ne ebbe fastidio tanto che disse: “Non immaginavo che un maiale mangiasse i propri simili”».

Presta servizio al Nido delle Aquile dal 10 ottobre 1942 al 4 febbraio del 1943. In quell'anno Salvatore Paolini passò al servizio del console italiano a Monaco, Roberto de Cardone. Con lui andò in Francia. Poco dopo rientrò in Germania, dove fu assunto all’hotel Deutscher Hof di Norimberga, dove c’era l’appartamento privato di Hitler e dove, il cameriere villese, rivede gli stessi volti del Nido delle Aquile. Buona paga, buona sistemazione, con stanza personale, letto di piume e addirittura il telefono in camera. Vi rimane fino al 25 aprile del 1945. I tempi intanto sono cambiati, iniziano i bombardamenti anche in Germania, in uno nel quale è coinvolto l'hotel Deutscher Hof; si salva miracolosamente: rimane un paio di giorni sotto le macerie.

Un'epoca tragica è all’epilogo. Scappa (prima da andar via prese come souvenir dalla camera di Hitler una piccola scultura in ferro battuto che ritrae due tirolesi che suonano la tromba e il violino), si rifugia in un’azienda agricola tra la Germani e l’Olanda, dove diventa addetto alle stalle, nell’attesa di tempi migliori per tornare in Italia.

IL RIENTRO IN ABRUZZO. Alla prima occasione utile va a Nimes, in Francia, da qui a Roma, poi Agnone e finalmente, a dorso di mulo, il rientro nella sua Villa. C’è da riorganizzare una vita, magari rimanendo in zona. L’indole di Salvatore Paolini però non è questa. Un’epoca è alle spalle, con i suoi lutti e tragedie, adesso bisogna guardare avanti, capire i tempi nuovi che sono all’orizzonte. Non domo riprende il viaggio: Venezia, Svizzera, Venezuela, Roma; all’Excelsior, Lido di Venezia, all’Ambassador, Caracas; al Continentale e all’Hassler Villa Medici, Roma. Ha servito i presidenti Eisenhower e Leone, Epicarmo Corbino, Beniamino Gigli, Primo Carnera, Maurice Chevalier. Nuove esperienze, sempre ben voluto, «sempre portato in palmo di mano», dice con orgoglio il figlio. Nel 1950 si sposa con Antonietta Finuoli, figlia di Camillo che fu il cuoco del Duca d’Aosta, che accudì fino alla fine, ultimo il viceré d’Etiopia nel campo di prigionia inglese in Kenya.

«Ho scoperto da poco», racconta Vito, «che le ceneri di mio nonno, che morì di malaria, sono accanto a quelle del Duca d’Aosta nel sacrario militare italiano di Nyeri, in Kenya, dove sono sepolti più di seicento soldati italiani». Da Camillo e Antonietta nascono Vito, Donatella, Maria e Mauro.

DEFINITIVAMENTE A CASA. Nel 1951 torna in Abruzzo e per venticinque anni è insegnante nell'Istituto alberghiero di Roccaraso. Intanto inizia la sua passione per la gestione della cosa pubblica. Prima di diventare sindaco nel 1978 con la Democrazia Cristiana, per diversi mandati è consigliere (di maggioranza e minoranza) e quindi assessore.

È primo cittadino di Villa Santa Maria per quattro legislature e il suo impegno è per tutto un territorio. «Mio padre si è impegnato a far aprire il poliambulatorio, la centrale idroelettrica comunale, e in un certo senso anche l'istituto alberghiero. Ha costruito strade, la biblioteca comunale ma soprattutto ha fondato la scuola alberghiera vanto dei migliori Chef. Ha apportato la mentalità del popolo tedesco anche a Villa Santa Maria. Con l'ordine e la disciplina ha amministrato al meglio questo paese. Tra le altre cose ha fatto costruire diverse abitazioni. Siamo orgogliosi di averlo avuto come genitore, papà ci ha insegnato l’onesta».

Diego, il figlio di Vito, sommelier e chef, ha un ristorante a Pescara, mentre due figli di Maria, uno, Stefano Di Lello è chef di partita presso il Cipriani di Venezia e suo fratello, Luca, e maître in sala in un ristorante di Mestre. «Papà ci diceva spesso: bisogna vivere rispettando un codice morale, lui l’ha fatto, questa è la sua grande eredità». Per tornare all'ipotetico film, o romanzo, dal quale si è partiti, la scena finale, prima dei titoli di coda, potrebbe riprendere una frase che Salvatore Paolini fece affiggere sul cancello della sua villetta e che racchiude la sua concezione di vita: «Se fai del bene, puoi camminare e sei libero; se fai del male, sei morto senza saperlo».