La Sixty in strada per l’ultimo giorno

Finisce anche la cassa integrazione per centinaia di operai non salvati dalla Newco, i sindacati sfogano la rabbia

CHIETI. Un addio al posto di lavoro in Sixty, l'assemblea sindacale di ieri mattina davanti all'azienda di via Piaggio allo Scalo che per un quindicennio aveva dettato ritmi e regole al mercato mondiale della moda jeans giovanile. Istruzioni per l'uso della mobilità, quelle impartite da Giuseppe Rucci, Vittorio Di Natale e Maurizio Sacchetta, i segretari teatini di Filcte-Cgil, Femca-Cisl e Uil-Tec, con qualche menzione della lunga lotta sindacale cominciata con i primi segnali di crisi nel 2007 e la vera e propria protesta permanente dai tempi dell'entrata progressiva per tutti in cassa integrazione straordinaria, anno 2009 con la famosa roulotte- presidio in cui pianse nei suoi ultimi giorni il fondatore Wicky Hassan, e poi distrutta da un incendio. Un addio polemico, anche, come era logico attendersi da un incontro coinciso con la fine della cassa integrazione, che per i 263 superstiti dell'esercito di oltre 700 degli anni d'oro scade in queste ore per effetto dei licenziamenti scattati in vista della chiusura del concordato preventivo tra i creditori attesa entro fine anno.

Si apre ora la mobilità, che secondo l'età del dipendente licenziato dura da due fino a quattro anni, residui di ammortizzatori sociali che accompagneranno i lavoratori nel primo periodo della disoccupazione.

«La Sixty a 50 dipendenti, quei pochi che quassù continuano a lavorare», spiega con toni amari Marino D'Andrea, Rsu in quota Filctem, «è forse l'ultimo bluff di chi ha assunto la guida di quell'azienda passata nei ricordi. Vorrei chiedere all'amministratore delegato di Sixty Distribution, Paolo Bodo, per quanto tempo pensa di far rimanere Chieti nella mappa della Sixty, se è vero che ormai quello che rimane dell'azienda è attivo a Padova, a ciclo integrale dalla progettazione alla produzione».

E all'Ad della nuova Sixty a guida asiatica rivolge poi l'invito a «non giocare coi numeri quando rilascia interviste. La Sixty era abruzzese e chietina, aveva oltre 700 dipendenti e oggi ne rimangono 50, mentre i negozi e la vendita al dettaglio non possono essere inseriti artificiosamente nel nostro discorso per descrivere un rilancio che, se e quando ci sarà, non avrà molto a che vedere con Chieti».

Ieri erano una settantina all’assemblea, con oltre 190 che hanno preferito declinare l'invito dei sindacati.

Rucci ha ricordato, tra gli unici applausi scrosciati, che alla lotta sindacale hanno creduto in pochi, confidando forse che tutto si sarebbe risolto una volta passata la grande crisi. Il segretario di Filctem l'ha fatto con un flash sui tempi della roulotte. «Il marciapiedi di fronte al presidio», ha detto, «oggi è consumato dai tanti piedi che hanno preferito cambiare strada, pur di non incontrare quelli che combattevano per i loro stessi diritti». Un giro tra gli ormai ex Sixty durante l'assemblea racconta di un morale a terra, che per qualche anno sarà appena sostenuto dal sussidio della mobilità. «Farò la casalinga per la prima volta in vita mia, con la brutta aria che tira è la scelta migliore», spiega una di loro.

E una collega, con l’amaro in bocca, anticipa che «emigrare è forse l'unica soluzione», mentre un altro dice la sua con ironia, «chiederemo ai nostri bravi politici abruzzesi, sono sicuro che avranno il posto di lavoro già pronto per noi».

Di Natale confida nell'incontro di metà mese al ministero del Lavoro, «dove la nuova proprietà cinese dovrebbe spiegare come intendono dare corso agli accordi romani del 2013, quando la nuova società satellite +39 venne accreditata di 70 nuove assunzioni, poi scese a una quarantina. E' poco, lo riconosciamo, ma è l'ultima chance rimasta».

Francesco Blasi

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