in tribunale

Lanciano, processo all'ex parroco: «Mi colpì con sei frustate»

I racconti choc nella nuova udienza del processo a don Andrè Luiz Facchini. Un fedele: «Erano punizioni giuste se sbagliavamo»

LANCIANO. Titubanti, quasi spaventati. Tanti «non ricordo», addirittura quasi delle giustificazioni alle penitenze corporali e alle frustate inferte dal parroco sulla schiena nuda coi grani del rosario. Sono le testimonianze di I.P., 32 anni, e N.C., 31, entrambi di Lanciano, ascoltate ieri dal giudice Andrea Belli nel corso della seconda udienza del processo a don Andrè Luiz Facchini, l’ex parroco di Sant’Agostino accusato di violenza privata aggravata, lesioni personali, violazione di domicilio, ingiurie, minacce e molestie telefoniche perché avrebbe «fatto credere ai giovani della Legio Sacrorum Cordium, associazione da lui fondata, di avere un filo diretto con la Madonna e gli angeli custodi che tramite lui inviavano disposizioni su come gestire la loro vita».

Avrebbe fatto subire ai ragazzi penitenze di tipo corporale quando questi “violavano” le regole che lui imponeva. «C’erano regole da seguire», ha deposto in aula I.P., «come la castità per chi non era sposato, messe da seguire, orari per andare a dormire. E se non venivano rispettate c’erano punizioni, come strisciare in ginocchio sul pavimento della chiesa, leccarlo facendo il segno della croce, inginocchiarsi con le nocche delle mani rivolte sul pavimento, digiunare. Anche se c’erano tentazioni sessuali bisognava reprimerle e confessarle a don Andrè che dava delle punizioni. Che però erano, ci diceva, gesti graditi a Dio, ai santi e alla Madonna. Era normale fare penitenza se si sbagliava».

Ma la penitenza divenne flagellazione nel 2009 durante un ritiro a Vigolo (Bergamo). «In quel ritiro ci fu il momento della disciplina», ha raccontato I.P., «don Andrè ci colpì con il rosario sulla schiena nuda: tre frustate per ogni anima da salvare. Io ricevetti tre frustate». Ha parlato di dolore fisico e morale il giovane che, quasi reticente e con diversi «non ricordo», ha poi portato avanti il suo racconto. Ha parlato anche del fatto che il prete violava il segreto confessionale, raccontando pubblicamente i peccati delle persone. Gesto che per l’accusa serviva a tenere in pugno, manovrare, le persone. «Sì, sapevo dei peccati di altri», ha confermato I.P., «mi ha parlato di una fedele che ha abortito, di chi aveva problemi di coppia e finanziari».

Una violazione imperdonabile per la Chiesa e la Curia che nel processo ha una responsabilità civile perché è il vescovo a nominare i sacerdoti, e quindi anche don Andrè, a valutare la sua idoneità all’incarico, a vigilare sulla sua condotta. «Avevamo regole da rispettare come andare a dormire verso le 23, non uscire e ad ogni modo rincasare prima delle 3 che era l’ora del demonio», ha confermato N.C., 31 anni, rimasto nella Legio dal 2008 al 2014, «alla fine erano regole per una vita sana. Ricevevamo punizioni e umiliazioni se sbagliavamo? Sì, ma umiliazioni le provava chi non rispettava le regole nei confronti degli altri non perché don Andrè ci offendesse. Le penitenze erano inginocchiarci con le nocche delle mani rivolte sul pavimento, strisciare con le ginocchia sul pavimento della chiesa. Anche lui a volte le faceva. Le frustate? Io ne ho ricevute sei», ha detto quasi impassibile, «mi sono sottoposto liberamente alla flagellazione. Ormai i segni sulla schiena sono andati via».

N.C. ha parlato anche dell’aggressione che avrebbe subito don Andrè che nel processo è anche parte offesa, in quanto vittima di lesioni da parte dei fratelli M.R., 35 anni, e S.R., 31. Ha raccontato che il parroco voleva salvare S.R. dal problema della droga ma non ha saputo spiegare cosa il prete fosse andato a fare alle 2 di notte a casa del giovane, con cui aveva avuto un rapporto stretto e che era uscito dalla Legio pochi mesi prima. Il processo è stato aggiornato al 16 giugno. (t.d.r.)

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