Le telecamere inchiodano l’assassino

Le immagini dimostrano che, prima della scoperta del corpo, solo il compagno della vittima è entrato nella villetta

CASOLI. Le telecamere lo inchiodano. Michael Dennis Whitbread, l’inglese di 74 anni accusato di aver ucciso con sette coltellate alla schiena la compagna e connazionale Michele Dawn Faiers, che di anni ne aveva otto in meno, è stato immortalato dagli obiettivi elettronici che si trovano vicino alla villetta di Casoli, al civico 70 di contrada Verratti, dove si è consumato il delitto lo scorso 28 ottobre. Quelle immagini dimostrano come solo lui sia entrato e uscito di casa fino all’arrivo di Petrina Helen Keay, l’amica di Michele che, la mattina del 1° novembre, ha trovato il corpo senza vita sul pavimento della camera da letto e ha lanciato l’allarme.
Tanto per essere ancora più chiari: c’è la prova provata di come, in orari compatibili con l’omicidio, nessun altro – oltre l’unico indagato – abbia potuto fare irruzione nell’abitazione a due piani immersa nella campagna. Si prospetta più che ripida, dunque, la strada che Whitbread dovrà percorrere per approntare una difesa credibile. Secondo l’avvocato dell’assassino, catturato qualche ora dopo il ritrovamento del cadavere grazie alla cooperazione tra procura di Lanciano, Arma dei carabinieri e polizia inglese, l’indagato si trovava «nel Regno Unito solo perché era andato a trovare la famiglia e aveva un biglietto di ritorno per l’Italia».
Ma quelle immagini sono un macigno difficile – o meglio quasi impossibile – da scalfire, soprattutto se inserite in un contesto in cui molteplici elementi inguaiano l’indagato che, nelle prime ore di domenica 29 ottobre, è scappato dal luogo del delitto a bordo della sua Jeep Compass bianca, ha oltrepassato la frontiera con la Svizzera e ha raggiunto il territorio inglese, per poi rifugiarsi a casa della figlia, a Shepshed, paese di 14.000 abitanti della contea del Leicestershire. Qui è stato arrestato e, il giorno successivo, ha ricevuto l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice di Lanciano Chiara D’Alfonso. Whitbread resta rinchiuso nel carcere di Wandsworth, a Londra: domani comparirà di nuovo davanti alla Westminster Magistrates’ Court che, entro il 26 febbraio 2024, dovrà decidere sulla richiesta di estradizione dopo che l’indagato ha negato il suo consenso nell’udienza di sabato scorso. Il tutto in attesa dell’autopsia, che sarà affidata nei prossimi giorni al medico legale Pietro Falco, dopo che l’avviso dell’«esame tecnico non ripetibile» sarà notificato ai parenti della vittima (le tre figlie non hanno intenzione di raggiungere l’Italia).
«I gravi indizi di colpevolezza», per utilizzare le parole del procuratore Mirvana Di Serio, sono stati acquisiti durante le indagini condotte dai carabinieri del nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Lanciano e della sezione investigazioni scientifiche del comando provinciale di Chieti.
Non solo le immagini delle telecamere e la fuga, dunque. Un’altra circostanza rilevante è che, già nei minuti successivi alla scoperta del delitto, i militari dell’Arma hanno trovato in casa i vestiti di Whitbread sporchi di sangue: l’indagato dev’essersi cambiato e deve aver indossato indumenti puliti prima di scappare.
Anche il racconto dei testimoni gioca fortemente a sfavore di Whitbread, perché Michele – qualche settimana prima di essere ammazzata – si era confidata con l’amica Petrina, svelando le violenze alle quali la sottoponeva il compagno.
C’è di più: non si era limitata alle parole, ma aveva addirittura mostrato i lividi di quelle discussioni, forse per motivi sentimentali, sfociate in prevaricazione fisica. Michele aveva paura e, temendo gravi ripercussioni, era anche rimasta a dormire per cinque notti a casa dell’amica, in contrada Laroma a Palombaro, dove vive una folta comunità britannica, un centinaio di persone che hanno deciso di trasferirsi in Abruzzo per la pensione.
Insomma: se tre indizi fanno una prova, come teorizzò per prima Agatha Christie, qui siamo andati ben oltre.
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