Lo scandalo del potabilizzatore di Chieti, chiesti i danni

L'opera venne realizzata tra il 1995 e il 2005, in località San Martino. Oltre 20 milioni di euro per un impianto mai entrato in funzione perché emerse che l’acqua del fiume Pescara non era idonea. Citati in giudizio cinque ex dirigenti di Regione e Aca

CHIETI. Cinque ex dirigenti della Regione Abruzzo e dell’Aca saranno chiamati a rispondere del mancato funzionamento del potabilizzatore realizzato a Chieti, in località San Martino dove, tra il 1990 e il 2006 vennero costruiti due impianti destinati a entrare in funzione in caso di crisi idrica: il Pot 100, costato oltre un miliardo di vecchie lire, e il Pot 500 da 20 milioni di euro, mai utilizzati. Le procedure indispensabili per accertare che l’acqua del fiume Pescara potesse essere potabilizzata, secondo l’accusa, non vennero svolte nonostante le ripetute richieste di Aca e Ato. Ancora nel 2007, ufficialmente non erano stati comunicati i risultati dei prelievi eseguiti nel 2004: troppo tardi emerse che l’acqua del fiume Pescara non era idonea all’uso umano perché i parametri superavano i limiti di legge.

Con un atto di citazione firmato il 10 dicembre scorso dal vice procuratore generale Massimo Perin, la procura regionale della Corte dei conti chiude la partita iniziata nel 2008 quando gli uomini del Corpo forestale dello Stato di Pescara, coordinati dal comandante Guido Conti, acquisirono i documenti che ripercorrevano l’iter della realizzazione delle opere e tutto il successivo carteggio. Per i magistrati contabili, il «grave danno per la collettività» non deriva dalla costruzione dell’impianto («ben realizzato e anche collaudato»), ma dal mancato funzionamento, con conseguenze non solo sui cittadini, che anche sul bilancio pubblico, «che ha sostenuto un elevatissimo esborso di denaro - 21.077.668 euro - senza avere avuto l’opera pubblica funzionante».

Erano sedici le persone coinvolte nella vicenda individuate inizialmente dalla Forestale: dopo avere esaminato le deduzioni delle difese, la procura cita in giudizio cinque ex dirigenti della Regione e dell’Aca per una somma complessiva di 150 mila euro («salvo diversa valutazione del collegio giudicante»): si tratta di Sergio Franci, ex dirigente regionale dell’ufficio Gestione acquedotti del primo dipartimento Lavori pubblici, per 40 mila euro; Maria Rosa Di Carlo, ex direttore generale dell’Aca (40 mila euro); Domenica Pacifico (40 mila euro), Giuseppe Bucciarelli (20 mila euro) e Giovanni Carusi (10 mila euro), dirigenti del servizio di Prevenzione collettiva della Regione nel periodo compreso tra il 2001 e il 2007.

Secondo l’accusa Franci, ingegnere capo dei lavori, avrebbe dovuto attivarsi dopo il collaudo «perché le amministrazioni competenti portassero a compimento le fasi successive per impedire che l’opera rimanesse inutilizzata»: per la procura, però, non lo fece. A Di Carlo, invece, viene addebitata «la responsabilità per il degrado degli impianti», che avrebbero dovuto essere «comunque protetti per evitare lo stato di abbandono a oggi accertato». Ai tre dirigenti regionali, infine, viene contestato di non avere operato «con sufficiente efficienza»: per la procura, dal 2001 a oggi, avrebbero dovuto adoperarsi per la predisposizione della delibera di designazione delle acque del fiume Pescara per la loro successiva classificazione: invece, non lo fecero «nonostante i numerosi solleciti inoltrati da Aca e Ato a partire dal 2001 e fino al 2008», un’«omissione» che avrebbe causato la mancata attivazione del potabilizzatore.