«Malagiustizia, per questo è morto Enzo Tortora» 

La compagna del presentatore racconta agli avvocati il clamoroso errore giudiziario «I giovani devono conoscere la storia di un uomo perbene accusato per il successo»

CHIETI. «Dove eravamo rimasti?». In parecchi ricordano ancora la frase con la quale Enzo Tortora, popolare giornalista e conduttore televisivo, scomparso quasi trent’anni fa, tornò con il suo “Portobello” in tivvù dopo essere stato vittima di un clamoroso caso di malagiustizia. Ieri, a Chieti, è stata la sua compagna, Francesca Scopelliti, a parlare ancora di quella storia. La storia di Tortora che, nel 1983, fu accusato di associazione camorristica e traffico di droga, scontò diversi mesi di reclusione e venne condannato a 10 anni di carcere prima che la propria innocenza fosse pienamente riconosciuta. «Parlo per conto di quelli che parlare non possono. Sono tanti e resterò qui anche per loro», aggiunse Tortora nell’occasione e, a parlare di malagiustizia, ieri pomeriggio nella sala teatro della casa circondariale di Chieti durante un convegno organizzato dal Rotary Club Chieti Maiella sul tema “L’esperienza penitenziaria. Via verso una nuova vita ?”, c’era proprio Scopelliti, giornalista ed ex parlamentare, che porta avanti da anni la sua battaglia garantista: «Per ricordare a tutti e far conoscere ai giovani la storia di un uomo perbene la cui vita è stata distrutta da un errore giudiziario che, quando ti piomba addosso, risulta devastante come uno tsunami. E non c’è assoluzione che tenga», ha detto Scopelliti, «restano solo macerie che minano anche la famiglia e la tua stessa salute».
Un caso clamoroso con le immagini di Tortora ammanettato e sconvolto mandate in onda di continuo e più di un giornalista e collega a prendere le distanze dal noto presentatore. «Enzo mi ripeteva sempre che tutto si perdona tranne il successo ed allora fu quasi inevitabile lo scagliarsi verso la sua persona. Un uomo colto e garbato che viveva un momento di grande popolarità».
La vicenda provò profondamente Tortora, stroncato da un tumore pochi anni dopo. «Mentre i giudici che lo avevano condannato sotto il peso di accuse assurde, hanno fatto carriera», continua la Scopelliti, presidente della Fondazione Internazionale per la Giustizia Enzo Tortora, che dopo l’assoluzione organizzò e stravinse con il Partito Radicale il referendum per l’estensione della responsabilità civile anche ai giudici. «Un esito poi peraltro tradito da una legge inadeguata e non applicata. Per noi solo il dolore di anni terribili e di una estrema ostinazione nei confronti di una persona anche quando cominciava ad emergere l’assoluta infondatezza di determinate accuse. Una persona protagonista di una nobile battaglia per tutti che si dimise dalla carica di parlamentare per tornare davanti ai giudici».
Tanti i ricordi affidati ad un volume nel quale, due anni fa, la stessa Scopelliti ha raccolto tutte le lettere ricevute nel periodo della detenzione. «Era l’unico modo per tenerci in contatto. Non eravamo sposati e, al tempo, era per me impossibile avere dei colloqui in carcere».
Davvero intenso e appassionato l’intervento di Francesca Scopelliti in un convegno che, dopo l’introduzione di Giuseppe Bernabeo, presidente del Rotary Club Chieti Maiella, ha avuto come moderatore l’avvocato Italo Colaneri. I saluti di Pietro Mennini, procuratore generale della Corte d’Appello dell’Aquila, di Fabrizia Francabandera, presidente della Corte d’Appello dell’Aquila, del sindaco Umberto Di Primio e degli avvocati Pierluigi Tenaglia e Goffredo Tatozzi, quindi le relazioni di monsignor Bruno Forte, del presidente del Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila Maria Rosa Parruti, del sostituto procuratore della Repubblica di Chieti Giuseppe Falasca, del comandante della casa circondariale di Chieti Alessandra Costantini e degli avvocati Riccardo Polidoro e Marco Muscariello.
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