Maxi tagli alle Province Pupillo fa causa a Salvini 

Sotto accusa i fondi ridotti dal governo: 427 milioni in tre anni per tutti gli enti d’Italia Ma il Tar del Lazio boccia il ricorso: «Gestione possibile anche con meno contributi»

CHIETI. Pochi fondi alle Province e Pupillo fa causa a Salvini, Tria e al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma i tagli alle Province, assestati dal precedente governo Gentiloni e mai ritirati dall’asse M5S-Lega, restano: per tutte le Province d’Italia sono a disposizione solo 427 milioni in tre anni e, per il Tar del Lazio, quei soldi devono bastare per «adempiere alle proprie funzioni»: manutenzione di strade dissestate e franate, scuole che cadono a pezzi e spesa per il personale. Il Tar ha bocciato il ricorso della Provincia di Chieti contro le riduzioni dei contributi statali: «Il ricorso è infondato», recita la sentenza firmata dalla presidente Germana Panzironi che dà il crisma della legittimità ai tagli del governo. E a Chieti e nei paesi si annunciano tre anni senza lavori: una stima dice che per le strade rotte di Chieti e provincia servirebbero interventi per 116 milioni ma, ad andare bene, arriveranno dalla Regione solo 20 milioni di fondi Masterplan. La Provincia dovrà arrangiarsi.
Con il ricorso contro i ministeri dell’Interno, dell’Economia e la presidenza del Consiglio, il presidente Pd della Provincia Mario Pupillo contesta la ripartizione dei contributi assegnati alle Province: 317 milioni di euro per il 2018 e altri 110 milioni per il 2019 e il 2020 stanziati per l’«esercizio delle funzioni fondamentali», così dice il decreto firmato dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti il 19 febbraio 2018, prima delle elezioni politiche. Per «funzioni fondamentali» si intendono le competenze provinciali, a partire da strade e scuole. Pupillo denuncia che quei fondi sono davvero pochi e non permetteranno alle Province di andare avanti spalancando così la strada a ipotesi di dissesto finanziario.
Il ricorso solleva le ipotesi di «eccesso di potere sotto il profilo della violazione del canone di logicità-congruità, della disparità di trattamento, dell’ingiustizia grave e manifesta, della violazione delle intese Stato-Città». «Sarebbe ravvisabile», dice ancora il documento, «un contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali, e segnatamente con l’articolo 119, comma 4, in base al quale la legge dello Stato deve consentire “alle Province, alle Città metropolitane (...) di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”». Ma il Tar sconfessa la tesi della Provincia: secondo i giudici amministrativi, «allo stato degli atti non si ha alcuna evidenza della impossibilità per la Provincia ricorrente di adempiere alle proprie funzioni». Il Tar sostiene che, nonostante le riduzioni assestate dal governo, «l’autonomia finanziaria non è stata pregiudicata, o comunque frustrata, non avendo la ripartizione di tali risorse inciso sull’autonomia decisionale in ordine ai servizi ed ai beni ai quali indirizzare le proprie risorse economiche»: vuole dire che, nonostante i tagli, la Provincia può decidere da sola come utilizzare quei contributi concessi dallo Stato. E i giudici ribadiscono il principio che, in nome delle necessità di spesa, non si possono giustificare sprechi: «Non si deve dimenticare che è necessario contemperare le esigenze di autonomia finanziaria degli enti locali (e delle pubbliche amministrazioni in generale) con quelle connesse alla partecipazione dell’Italia all’Unione europea ed alla regola, anch’essa di rango costituzionale, dell’obbligo del pareggio di bilancio», conclude la sentenza.
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