Montebello, il Comune non ha lo stemma

E' l'unico caso in provincia. Il sindaco: qualcuno ci aiuti nell'acquisto del gonfalone

MONTEBELLO SUL SANGRO. I monti meglio di no, anche se il versante orientale del Monte Vecchio è lì che fa da balia al borgo antico. Che poi quelle vette siano all'"italiana", con le punte arrotondate come fossero panettoni, o rigonfie "alla tedesca", o ancora "al naturale", per indicare l'asperità del terreno, poco importa. Meglio la torre, certo. Rotonda o quadrata, merlata alla guelfa o alla ghibellina, clericale o laica, chiusa o aperta, finestrata, fondata o addirittura diroccata, quel bastione è sempre simbolo di potere, stabilità e resistenza. E qui, a 810 metri di altitudine, si gode della vista integrale sulla Maiella e si domina dall'alto anche la Val di Sangro. Meglio la torre, quindi, nello stemma comunale che il sindaco, Ciriaco Giampaolo, 81 anni e mezzo portati come un giovanotto, ex segretario comunale, sta realizzando con tanto di matita, righello e compasso. Perché Montebello sul Sangro, il secondo paese meno popolato del Chietino con 102 abitanti, 61 famiglie e 160 case, una storia alle spalle di guerre, onori e, a seconda di come si interpreti la leggenda, anche di disonori, è l'unico Comune dei 104 della provincia ancora senza vessillo e gonfalone.

Possibile? Siamo nel 2011? Sì, è così, tant'è che la carta intestata dell'ente riporta solo l'indirizzo, il codice di avviamento postale, i numeri di telefono della casa municipale e il codice fiscale. A sinistra così come a destra del nome del Comune c'è solo un insignificante spazio bianco che adesso si vuole riempire.

«E' vero», ammette il sindaco, «ancora non abbiamo uno stemma e senza quel simbolo non potremmo neanche avere il gonfalone. Forse è una questione di trascuratezza delle passate giunte comunali (Giampaolo è stato sindaco dal 1994 al 2003 e la giunta prima del 2009 era guidata dal figlio Giovanni, ndr) che non hanno pensato a questo particolare. Ma una bandiera è sempre un segno di identificazione per un ente locale. Pensa tu che quando invitano il Comune ai cortei e alle manifestazioni ufficiali non andiamo mai. E sai perché? Siamo in imbarazzo: con che cosa sfiliamo? Rimedieremmo solo una brutta figura. La fusciacca tricolore del sindaco a volte potrebbe non bastare. Con il gonfalone, invece, è tutta un'altra storia».

Un vuoto quasi istituzionale, quindi, che l'amministrazione civica in carica sta cercando di colmare anche in ossequio all'articolo 5 dello statuto comunale approvato 7 anni fa e che spiega che "Il Comune, che ancora non dispone dello stemma e del gonfalone, si impegna a richiedere l'apposito decreto".

Ma quelle buone intenzioni calate nero su bianco nel lontano 2004 sono rimaste tali.

Dall'Archivio di Stato di Napoli, sottolinea il sindaco, è arrivata di recente una immagine, ripresa da un timbro e a tratti sfuocata, che potrebbe appartenere alla storia del paese che fino al 1969 si chiamava Buonanotte ma che poi mutò in Montebello perché i residenti non volevano essere più derisi nel ricordo di una guerra perduta e conclusa con la concessione delle mogli, per una notte, al nemico come prezzo da pagare per la sconfitta. Così, almeno, si racconta. Prima di quella disputa il paese di chiamava Malanotte, ribattezzato in Buonanotte dai vincitori. Insomma, due sconfitte sonore in una.

Ma ora è venuto il momento del riscatto per l'ex feudo di Antonio Caldora, poi della signoria degli Annecchino, dei Ricci, dei Caracciolo e dei Malvini-Malvezzi, imparentati con i Medici di Firenze. A dire il vero una prospettiva al futuro di Buonanotte, la parte antica del borgo abbandonata per una frana, gliel'aveva data qualche anno fa Daniele Kihlgren, l'imprenditore italo-svedese che un giorno, attraversando l'Abruzzo in moto, di innamorò di Santo Stefano di Sessanio, ai piedi del Gran Sasso. Di quel borgo ne ha fatto un rivoluzionario albergo-diffuso, moderno e allo stesso tempo medievale. A Buonanotte, Kihlgren voleva replicare il progetto, ma il piano d'intervento da 5-6 milioni di euro ha improvvisamente rallentato da quando la crisi finanziaria internazionale ha smosciato gli investimenti.

A prescindere dal recupero del borgo antico, a sentire il primo cittadino, l'elemento dominante del nuovo emblema sarà una torre sormontata dall'immancabile corona. Il tutto, forse, corredato da alcuni svolazzi e probabilmente dalle foglie di ulivo, simbolo della pace, e di quercia, che rappresentano la forza e la dignità, come essenze decorative. Non ci sono motti, nessuna parola in latino. Entro dicembre, assicura Ciriaco Giampaolo, la pratica con il bozzetto del blasone sarà sui tavoli dell'ufficio araldica, alla presidenza del consiglio dei ministri, per il nulla osta, e poi al Quirinale, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per il necessario decreto di concessione. E quando dal prefetto arriverà il riconoscimento dello stemma, sarà festa grande, come per il patrono San Ciriaco, l'8 agosto.

«Il problema», non si nasconde il primo cittadino, «è che le casse comunali, già all'asciutto per i tagli dei finanziamenti dagli enti sovraordinati, dovranno affrontare una spesa non indifferente per avere, appunto, lo stemma e il gonfalone. In questi tempi in cui i Comuni raschiano il fondo del barile, sarebbe bello trovare qualche privato disposto ad aiutarci in questo costo. Vediamo un po' che cosa succede».

La pensa allo stesso modo Dante Giampaolo, vice sindaco, anche lui ultra ottantenne. «Lo stemma», spiega il numero due del Comune, «è ormai necessario, ma è difficile trovare le risorse per farlo realizzare. Questo è il nostro rebus. Dell'argomento parliamo spesso in giunta ma c'è sempre da confrontarsi sull'ammontare della spesa da sostenere: circa 6mila euro. Comunque, nella prossima seduta dell'esecutivo, rimettiamo in discussione il tutto e vediamo quale strada intraprendere per andare avanti in questa inziativa che potrebbe ridare orgoglio a noi montebellesi».

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