Montelapiano, borgo più piccolo d'Abruzzo

Gli abitanti sono 77, Poste aperte tre ore e niente negozi. I residenti: ma è un paradiso

MONTELAPIANO. Nel paese più piccolo d'Abruzzo per numero di abitanti, Cristina, l'ultima nata, oggi ha 9 anni. A Montelapiano, dove il tasso di natalità è zero dal 2003, gli abitanti sono 77. Non ci sono scuole, non ci sono negozi, niente distributore di benzina, nessuna banca. Per mancanza di gambe che corrono è impossibile mettere su la più sgangherata squadra di calcio a 5 anche se il campetto è all'ingresso del paese. Si può rimediare con le bocce: due anziani si trovano sempre. Ci sono le Poste, certo, ma l'ufficio è aperto tre ore al giorno. C'è anche il municipio, retto dal sindaco Giovanni Nero (lista civica) ma nelle sette mega-stanze della palazzina ristrutturata nel 2003 in via Roma dove sventolano il tricolore, la bandiera dell'Unione europea e quella del paese, ci lavora un solo dipendente, Nicola Palumbo, amministrativo. Il segretario comunale c'è una volta a settimana mentre un operaio a tempo determinato che fa anche da netturbino, autista e ruspista è assunto tramite agenzia interinale. I trasferimenti dallo Stato ammontano a 100mila euro quando un dirigente di un ente sovraordinato ne intasca 120mila.

Tutto sembra essersi fermato qui, alla sinistra della media valle del Sangro, pendici del Monte Vecchio, 750 metri di altitudine. Secondo la leggenda il paese era già stato abbandonato da una invasione di formiche, ma tra le cause più serie di una possibile fuga dal villaggio c'è il terremoto del 1456 che avrebbe fatto prosciugare le sorgenti. Eppure in questo borgo che ha avuto tra i feudatari il normanno Rainaldo figlio di Aniba, i francesi Raoul e Matilde de Courtenay, Filippo di Fiandra, Napoleone Orsini, Raimondo Caldora e i suoi eredi, quel poco che resta è curato al meglio. Molte le abitazioni ristrutturate, poche quelle in abbandono. Una inezia i ruderi. Ci sono anche dieci telecamere della videosorveglianza.

Nel censimento del 1951, a Montelapiano c'erano 629 abitanti, poi l'inesorabile declino per effetto dell'emigrazione con direzione Canada, Francia e Roma. Molti i montelapianesi che hanno fatto fortuna lontano da qui nei settori dell'edilizia, della musica e della ristorazione. E il monumento all'emigrante, all'ingresso del paese, con un omone quasi inebetito, carico di valigia chiusa dallo spago e trascinata con il braccio del cuore, sta proprio a ricordare che lo spopolamento è stato massiccio e forse anche improvvisato.

«E' successo anche a me di finire all'estero», dice Bonifacio D'Angelo, 68 anni, pensionato a Montreal, «ma quando posso torno e anche di corsa: sono molto legato al mio paese. Adesso riparto a ottobre. Che qualcuno ci aiuti a rivitalizzare questo borgo, ma ormai sembra che non si possa più risalire la china. Qui mancano i servizi: non ci vogliono stare gli anziani, figuriamoci i giovani. Chissà se con qualche ristorante il paese si rilancia».

Flora Villani, invece, è l'ultima commerciante ad avere avuto un negozio, chiuso nel 1992. Vendeva generi diversi al piano terra dell'abitazione di via Margherita vico II con annesso posto telefonico pubblico. «Ho smesso l'attività dopo trent'anni perché era impossibile vivere con una manciata di abitanti. Scarsi incassi, tasse da pagare, scontrini, contabilità: difficile andare avanti» racconta la Villani, «molti non pagavano in contanti e in un paese così piccolo si teneva il quaderno dei debiti che si saldavano una volta ogni tanto. Nel locale avevo anche la cabina telefonica e davo la linea a chi doveva chiamare o attendeva la chiamata. Poi il telefono è arrivato nelle case, nelle cabine in strada e anche quel servizio è andato».

L'unico luogo di intrattenimento è il circolo Europa, in piazza Croce. Il locale, dotato di wi-fi, è del Comune che l'ha dato in gestione a Mario D'Angelo, 68 anni, per anni barman a Roma. «Mi ammazzo di lavoro per 15 giorni ad agosto e basta», dice D'Angelo con indosso una maglietta bianca con la scritta "Università Montelapiano", «per il resto dell'anno c'è qualche giocatori di tressette e a volte se manca il quarto sono io a rimpiazzarlo. Ci sono giorni in cui la mattina faccio un caffè per me, al massimo due se viene un cliente: tutto qui. E alla sera resto solo a guardare la tivù. I giovani sono pochi e al fine settimana vanno altrove. Eppure questo paese è un posto da sogno per chi vive in città. E' il paradiso dei bambini: sono loro che costringono i genitori a tornarci, ma quando si fanno grandicelli non li vedi più».

Per qualsiasi tipo di servizio bisogna scendere a Villa Santa Maria, il paese del cuochi, a 6,5 chilometri. E' lì che il mercoledì del periodo scolastico un bus porta gli anziani a fare la spesa, partenza alle 8,30 e rientro alle 11,30. Il martedì e il venerdì, invece, arriva il fornaio da Civitaluparella e si sistema in una stanza al piano terra del municipio. Il medico di famiglia viene due volte a settimana nei locali della Asl. Per l'emergenza sanitaria, invece, bisogna fare capo ai volontari di Villa che hanno un'ambulanza in dotazione.

«I piccoli centri sono destinati a sparire perché vivere qui costa tanto: solo di benzina per spostarsi se ne va un capitale», dice Arturo Scopino, vice sindaco, ex sindaco per due mandati, ex presidente della Comunità montana Valsangro e presidente regionale dell'Anpci, Associazione piccoli comuni d'Italia. «Ci vorrebbe una residenza per anziani, abbiamo un progetto da 700mila euro ma mancano i fondi per l'opera. E' necessario poi far funzionare il servizio 118 di emergenza sanitaria di Villa per 24 ore al giorno, invece è attivo solo per 12 ore: se uno ha un malore intanto che arriva l'ambulanza da Atessa e va al pronto soccorso passa almeno un'ora e mezza. La Regione, infine, snellisca le procedure per mettere sui nostri monti gli impianti eolici e fotovoltaici, così il Comune incasserebbe 150mila euro. Una manna per la sopravvivenza. E meno male che dalla centrale elettrica intaschiamo 50mila euro: senza soldi sarebbe la fine».

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