«Noi in un film horror Pensavamo di morire» 

Parlano il medico Martelli e la moglie Niva sequestrati e seviziati in casa Ieri di nuovo insieme in ospedale dopo la notte di botte e terrore 

LANCIANO. «Quello che ho vissuto è esagerato e sproporzionato. Mi sembrava di essere dentro un film. Ho pensato di morire». Niva Bazzan, la moglie del dottor Carlo Martelli a cui domenica uno dei quattro rapinatori entrati nella loro villa ha tagliato parte del lobo dell’orecchio destro con una roncola, parla dal letto dell’ospedale Renzetti. A seguito di un leggero scompenso cardiaco è stata trasferita all’Utic. E ieri ha potuto riabbracciare il marito.
L’INCONTRO IN OSPEDALE. Si sono separati domenica mattina, dopo una notte di terrore, sangue e violenza. Appena giunti in ospedale accompagnati dal fratello di Carlo, Alfredo Martelli, lei è stata trasferita in Multidisciplinare, lui in Chirurgia. Volti tumefatti e cuore a pezzi ieri si sono riabbracciati attorno a mezzogiorno. Niva ha raggiunto il marito. Minuti di emozione e commozione, di ricordi e paure. Sguardi che si sono riaccesi nella certezza di essere di nuovo assieme, vivi. Lei con il lobo dell’orecchio mutilato, lui col viso tumefatto, il collare e le ferite sulle braccia che testimoniano le violenze subite durante la cruenta rapina avvenuta nella loro villa di contrada Villa Carminello. Pochi minuti per i due, da oltre 40 anni assieme, che aspettano di potersi riabbracciare fuori dall’ospedale.
LE VIOLENZE. A raccontare le due ore di violenza è il chirurgo in pensione. È nella stanza numero 1 di Chirurgia, reparto dove ha lavorato per anni, disteso nel letto con i segni del pestaggio e la forza di raccontare quanto subito, perché non accada più. «Mi ero svegliato verso le 3», dice Martelli, «perché non vedevo la luce nel corridoio. Uno sbalzo di corrente, non so se legato alla rapina. Poi mi sono riaddormentato. Attorno alle 4 ho visto una lucina in camera. Credevo fosse Niva, che dormiva nell’altra stanza perché doveva partire per Roma, invece mi sono preso una scarica pugni da un uomo. Sono stato sbattuto a terra e poi legato mani e piedi con dei cavetti del computer. Hanno portato mia moglie in camera e hanno legato i polsi anche a lei. Uno dei ladri, con una roncola presa in cantina tra le mani, ha detto: “Dicci dov’è la cassaforte o faccio a pezzetti tua moglie”. Io ho detto che non l’avevamo, ma per ogni parola che dicevo, ricevevo un pugno».
L’ORECCHIO TAGLIATO. Visto che i coniugi non cedevano -perché la cassaforte in casa non c’è davvero- i ladri hanno alzato il tiro. «Mi hanno detto che è una tecnica precisa, militare», riprende il medico, «quella del picchiare subito a mo’ di intimidazione, ma qui è stata violenza pura». Sfociata addirittura nella mutilazione. «Non ho visto il momento del taglio dell’orecchio a mia moglie», precisa Martelli, «dopo un pugno ero tramortito. Ho visto il sangue zampillare e ho detto: “Adesso ci ammazzano”». «Ho provato sensazioni di confusione, disperazione, mai di rabbia, per quanto stava accadendo», aggiunge Niva, «credevo fosse un film. Poi ho pensato che sarei morta». Capito che la cassaforte non c’era, i ladri hanno preso le carte di credito. «Ci siamo ricordati i codici Pin non so come», riprende Martelli, «dopo averci minacciato ancora, se ne sono andati lasciandoci con uno di guardia».
I RAPINATORI. Come racconta il medico, tra i quattro banditi uno era il capo, il più violento, quello che lo ha pestato, ha tagliato l’orecchio alla donna e l’unico che ha parlato «in un discreto italiano». Gli altri obbedivano agli ordini. «Due avevano scarpe da tennis bianche di pelle», ricorda il chirurgo, «con un gallo disegnato sopra (è una marca di scarpe, ndc), quello che è rimasto con noi non ricordo. Ad un certo punto ha preso una bottiglia di acqua, ha cercato di darmela, ma io non riuscivo ad inghiottire, poi ha imboccato mia moglie. Presi i soldi i ladri ci hanno lasciato legati e hanno chiuso a chiave la porta. Poco dopo li ho sentiti tornare indietro: “Tornano ad ammazzarci”, ho pensato. Invece era il rapinatore che era rimasto con noi, ci ha lasciato socchiusa la porta». Poi il medico è riuscito ad alzarsi e ad afferrare delle forbici con cui ha liberato la moglie. Dopo aver visto che il figlio non era stato toccato, i due sono andati in ospedale.
IL FUTURO. Tanta violenza e dolore sono difficili da dimenticare. «Si soffre, mi viene da piangere senza motivo», confessa il medico. «Spero di liberarmi presto da questa paura», aggiunge la moglie, «per tornare a una vita normale senza incubi e non sentirmi condizionata dal ricordo». Nella casa dove hanno sempre vissuto. «Quella casa è la mia vita», chiude Martelli, «è il terreno di famiglia, dietro c’è casa di mia madre e mio fratello. Non c’è ragione per andare via».
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