Nuovo rettore, Capasso è il quinto candidato

Università d'Annunzio di Chieti-Pescara, i giudici del Tar che lo rimettono nel Cda lo elogiano: «Vittima di ritorsione»

CHIETI. Il professor Luigi Capasso è pronto a candidarsi, ed è il quinto sfidante alla carica di rettore dell'università d'Annunzio di Chieti. Aveva scoperto e denunciato alcune incongruenze, come l’affidamento di incarichi a consulenti esterni, ai quali avrebbero potuto far fronte le professionalità dell’ateneo, e si era visto revocare la nomina a componente del consiglio di amministrazione. A rimettere le cose a posto ci ha pensato il Tar Abruzzo, con la recente sentenza che ha accolto la richiesta di reintegra in seno al cda avanzata dal professore, assieme alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute sullo stipendio e al pagamento di quelle che avrebbero dovuto corrispondergli fino alla fine del mandato.

La sentenza del Tar è arrivata mentre si attende la decisione sulla richiesta di interdizione, da parte del gip Antonella Redaelli, che pende sull’attuale rettore Carmine Di Ilio e sul direttore generale Filippo Del Vecchio. L’inchiesta penale è partita proprio da un esposto del professor Capasso, e ruota alla convenzione tra l’Università D’Annunzio e il Provveditorato delle opere pubbliche per la riqualificazione dell’ex caserma Bucciante, a un procedimento disciplinare nei confronti di Del Vecchio, e, infine, proprio sulla cacciata di Capasso dal cda. Nel frattempo, in attesa della magistratura ordinaria, la sezione di Pescara del Tare ha accolto in pieno la tesi del professore, rappresentato dall’avvocato Massimo Cirulli, a eccezione di quella riferita al ristoro del danno alla reputazione.

Innanzitutto, i giudici hanno rilevato come Capasso fosse stato estromesso dal cda senza neanche avere la possibilità di esporre le proprie ragioni, e senza che gli fosse data la possibilità di rimuovere la causa in base alla quale il rettore aveva decretato la decadenza dal cda, vale a dire la direzione del museo d’ateneo. I giudici hanno stabilito che il professore ha diritto al pagamento di una somma di circa 8100 euro, per le trattenute sullo stipendio e per i compensi che avrebbe dovuto percepire in quanto componente del cda. Secondo i giudici, negli articoli pubblicati su Il Centro «viene indicato come possibile vittima di una sorta di vendetta per avere sostenuto nel cda coloro i quali volevano esprimere sfiducia verso il direttore generale».