Omicidio di Vasto, Di Lello in carcere sorvegliato a vista

Il gip Salusti ha convalidato l'arresto del panettiere che mercoledì scorso ha ucciso con tre colpi di pistola Italo D'Elisa. L'uomo è in isolamento e tra i libri da leggere ha scelto un romanzo di Evans. Il padre di Italo da Giletti su Rai1: «Mio figlio era un morto vivente». E il procuratore Di Florio: «Non si poteva arrestare»

VASTO. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vasto, Caterina Salusti, ha convalidato l'arresto di Fabio Di Lello, rinchiuso nel carcere di Vasto con l'accusa di omicidio volontario premeditato per l'uccisione di Italo D'Elisa. Ieri mattina l'interrogatorio di garanzia, con Di Lello che si è avvalso della facoltà di non rispondere.

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Nella casa circondariale di Torre Sinello si alternano a fargli visita gli avvocati difensori, Giovanni Cerella e Pierpaolo Andreoni. Dicono che il panettiere sta male, alterna lunghi silenzi a interminabili momenti di pianto. «Anche questa mattina sono andato. Ancora una volta ci siamo abbracciati - racconta Andreoni - Ha bisogno di calore umano». Di Lello - accusato di aver ucciso mercoledì 1 febbraio, con tre colpi di pistola, il giovane che nel luglio scorso causò l'incidente stradale nel quale morì sua moglie Roberta - è in isolamento ed è guardato a vista dagli agenti della polizia penitenziaria per evitare che possa commettere sciocchezze. Gli sono stati consegnati alcuni libri presi dalla biblioteca del carcere. Uno di questi è "L'uomo che sussurrava ai cavalli", romanzo di Nicholas Evans, la storia di una donna, di sua figlia e di un cavallo che cercano di riprendersi dal trauma causato da un incidente a cavallo in cui è morta un'amica della ragazza.

Angelo D'Elisa a L'Arena di Giletti: «Mio figlio era un morto vivente». «Italo era un ragazzo che si dedicava a tutti, stava nella Protezione civile e soccorreva gli altri. Quando ha ucciso Roberta Smargiassi, il primo luglio, mi ha detto che avrebbe voluto morire lui al suo posto. Lui quel primo luglio è morto, anche se camminava. La sua vita era distrutta. Mi diceva: "Io chiudo gli occhi e vedo quell’incidente. Ho sempre quell’immagine dell’incidente". È stato ricoverato anche lui, perché ha avuto un trauma». Così Angelo D’Elisa, padre di Italo, il ragazzo di Vasto ucciso dopo aver investito la moglie di Fabio Di Lello, ora in carcere, oggi a "L’Arena" di Massimo Giletti su Rai1 dove era ospite insieme al procuratore capo Giampiero Di Florio. «Italo era un morto vivente. Lo vedevo male. Preghiamo tutti per queste famiglie distrutte, ascoltiamo le parole del parroco che sono sante. Io mi fido della giustizia. Avete un po' di pietà per queste famiglie distrutte? Lasciateci tranquilli a pregare», ha concluso.

Il procuratore Di Florio a Giletti: «Non si poteva arrestare». Già due giorni fa aveva precisato, insieme al presidente del Tribunale di Vasto, che la vicenda nella quale D'Elisa era imputato per omicidio stradale per la morte di Roberta Smargiassi non poteva «essere catalogata come episodio di lentezza della giustizia», sottolineando, anzi, «la celere trattazione del processo». Oggi il procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Vasto, Giampiero Di Florio, lo ha ribadito, citando date e tempi dell'inchiesta, nel corso della trasmissione di RaiUno "L'Arena", condotta da Massimo Giletti, che si è occupata del delitto di mercoledì scorso, quando Fabio Di Lello, marito di Roberta, a Vasto ha ucciso a colpi di pistola Italo D'Elisa. «Un alto prelato aveva quasi attribuito una sorta di responsabilità oggettiva al mio ufficio. Chi mi conosce sa che non sono abituato a intervenire, specie in fatti che riguardano processi di cui mi occupo. Però è stato chiamato in causa il mio ufficio in maniera assolutamente inappropriata» ha detto Di Florio riferendosi all'intervento del vescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte, che auspicava una giustizia più sollecita poiché quando è lenta «non è più giustizia e produce anche effetti come questi tragici a cui a cui si è assistito a Vasto». «La morte della povera Roberta è datata 1 luglio 2016; il 12 ottobre, dopo un'attività di indagine completa, in meno di 110 giorni, abbiamo fatto l'avviso di conclusione delle indagini. Dopo quella data c'è un passaggio obbligatorio previsto per legge, venti giorni nell'ambito dei quali l'indagato può esercitare una serie di facoltà; noi abbiamo esercitato l'azione penale e in meno di quattro mesi è stata avanzata la richiesta di rinvio a giudizio. Grazie ai tempi del tribunale di Vasto siamo riusciti a ottenere l'udienza preliminare il 21 febbraio 2017. E ha aggiunto: «A tutto si poteva pensare tranne che a un arresto facoltativo in flagranza di reato». Secondo Giletti, il fatto che D'Elisa non fosse stato arrestato per l'omicidio stradale sarebbe uno dei fattori che avrebbe fatto «uscire di senno Fabio». «Nessuno deve uscire fuori di testa quando vanno rispettate le regole di uno stato di diritto, non bisogna confondere giustizia con giustizialismo» ha replicato Di Florio. «La situazione che si è presentata ai carabinieri intervenuti nell'immediatezza dei fatti, il giorno dell'incidente, era questa - ha poi ricordato il procuratore -. Innanzitutto la velocità non era eccessiva per come l'abbiamo ricostruita noi: con un limite di 50 chilometri orari il ragazzo andava a 62. Non aveva assunto sostanze stupefacenti o alcoliche, era incensurato, si è fermato per prestare i primi soccorsi, nei limiti del possibile. Anche nel caso in cui si fosse proceduto all'arresto, il ragazzo sarebbe uscito dopo due giorni, perché non c'erano le esigenze cautelari, non possiamo inventarcele come anticipazione della pena. Bisogna avere cautela su questo punto. Non possiamo chiedere ai giudici di non applicare la legge. I presupposti per una custodia cautelare sono fissati dal codice».