Punta Aderci, dalla sabbia riemergono teschi e ossa 

La scoperta di un turista: c’è un cimitero abbandonato nella riserva naturale Lo storico D’Adamo: sono i resti dei morti a causa di un’epidemia di peste nel 1817

VASTO. Si imbatte in teschi e ossa mentre passeggia sulla spiaggia della riserva naturale di Punta Aderci. Macabra sorpresa per Michael Zolnowski, un turista polacco venuto in vacanza a Vasto insieme alla famiglia. Dal promontorio sono riemersi scheletri umani: sono quelli dei vastesi morti a causa di una epidemia di tifo nel 1817, una malattia terribile che due secoli fa ha mietuto migliaia di vittime. Storici e studiosi locali sollecitano da anni il recupero dei resti, la loro catalogazione e valorizzazione, ma le proposte, come al solito, sono cadute nel vuoto. Gli scheletri vengono lasciati all’abbandono, tra la vegetazione e le erbacce infestanti. Non è quindi insolito durante un’escursione nella riserva o una semplice passeggiata imbattersi in ossa e teschi. Come è successo al turista polacco che ha segnalato, non senza manifestare un certo stupore, l’insolito ritrovamento al Centro.
«Sono ossa umane autentiche», insiste Zolnowski, «ne sono sicuro, sono un medico. È strano che nessuno intervenga». Insomma, a Punta Aderci, una delle aree protette più gettonate d’Abruzzo, c’è un cimitero abbandonato che testimonia una delle pagine più nere della storia della città e che di tanto in tanto torna a far discutere. Due anni fa fu l’architetto Francesco Paolo D’Adamo, cultore della storia e delle tradizioni vastesi, a far riaccendere i riflettori su ossa e teschi custoditi nella sabbia. In quella occasione il professionista adombrò il sospetto che fosse entrato in azione qualche tombarolo e necroforo avendo notato che alcune porzioni del costone erano state manomesse. «Nel 1817 ci furono tantissimi morti a causa dell’epidemia», ricorda D’Adamo, «un terzo della popolazione di Vasto, che all’epoca contava 8mila abitanti, fu distrutta in pochi mesi dalla febbre petecchiale. All’inizio le persone decedute venivano tenute fuori le mura nella chiesa di San Francesco De Paola, l’attuale Addolorata, ma in seguito le autorità municipali decisero di portare le salme con un carro trainato dai buoi a Colle Martino a Punta Penna».
La zona dove venne interrata la maggior parte dei cadaveri è quella dove sono presenti i resti di una fortezza, vicino agli enormi silos utilizzati come deposito di acido solforico e fosforico. Le altre salme vennero interrate sotto la sabbia a Punta Aderci. Nessuno avrebbe mai immaginato, due secoli fa, che quel territorio sarebbe diventato un giorno una riserva naturale. Lo storico vastese Luigi Murolo, che conserva gelosamente una delibera dell’epoca con la quale si autorizzava a seppellire i cadaveri lontano dalla città, parla di 2.183 morti interrati tra Punta Penna e Punta Aderci. «Il 1817 fu un anno tragico per Vasto», rimarca Murolo, «oltre all’epidemia di tifo si verificarono anche un’enorme frana del costone orientale e una immane carestia».