"Esperimenti in Adriatico per l'estrazione del petrolio"

Il giornalista Dommarco: sugli esperimenti, delle prove estreme, ci sono le dichiarazione dei tecnici. Ma l’Eni ribadisce: mai avvenuti

PESCARA. «La conferma del fatto che il mare Adriatico, in Abruzzo, sia stato un laboratorio per la sperimentazione di tecniche “estreme” per la produzione di gas è un articolo scientifico pubblicato a luglio del 2000 sulla rivista Oil&Gas Journal, a firma di alcuni addetti ai lavori, che hanno illustrato l'attività svolta». Così il giornalista specializzato in tematiche ambientali Pietro Dommarco spiega come sia giunto alla conclusione che la tecnica del "fracking" per estrarre il gas sia stata utilizzata anche in Adriatico.

Il giornalista, a Pescara per presentare il suo libro "Trivelle d'Italia", aveva parlato delle tecniche estreme utilizzate in Abruzzo in un articolo pubblicato nei giorni scorsi su "Altraeconomia", alla vigilia del suo arrivo nel capoluogo adriatico. La sperimentazione sarebbe stata effettuata tra il 1994 e il 1999, nel giacimento "Giovanna" a 23 miglia al largo tra Montesilvano e Giulianova. «Nell'articolo del 2000», spiega Dommarco, «il termine fracking non compare, ma gli autori, tra cui tre studiosi che lavoravano per l'Eni, dichiarano di aver sperimentato la fratturazione idraulica per incentivare l'estrazione. La mia interpretazione è che si sia trattato di un fracking sperimentale».

L'Eni, però, smentisce categoricamente: «Sulla piattaforma Giovanna non è mai stato applicato nessun tipo di tecnologia “estrema” e non è mai stato applicato alcun tipo di tecnica di fracking».

Piuttosto quelle utilizzate sarebbero tecniche di estrazione del gas «consolidate ed adottate a partire dagli anni '90», studiate appositamente per i giacimenti sabbiosi del mare Adriatico. «Tecniche», evidenziano dalla compagnia, «che non comportano alcun tipo di rischio né dal punto di vista ambientale né della sicurezza dei fondali e che hanno come obiettivo principale la prevenzione di eventuali problemi di sicurezza».

Al di là del dibattito sul fracking, secondo Dommarco, l'Abruzzo, dopo la Basilicata, è la regione che, dal punto di vista ambientale, in termini di ricerca ed estrazione di idrocarburi, rischia di più. «Il territorio interessato dalle attività», evidenzia il giornalista, «dal 26% potrebbe presto passare all'86%». Parlando alla platea numerosa, nella sala consiliare del Comune di Pescara, Dommarco, si è soffermato sui contenuti del libro, caratterizzato da una prima parte di tipo analitico, con dati e numeri dell'Italia del petrolio, e da una seconda parte più "emotiva", che ripercorre il viaggio attraverso i luoghi del petrolio.

L'esperto, mostrando ai presenti una mappa di come si presenterà il Mediterraneo fino al 2017, tra attività già in corso e concessioni, ha parlato dei «problemi di controllo», delle «basse compensazioni ambientali», della «scarsa appicazione della normativa», con la conseguente «agevolazione delle compagnie petrolifere».

Inevitabile il riferimento all'operato del Governo Monti, che «ha voluto inserirsi nell'affare delle trivelle come nessun altro governo aveva fatto prima», e alla Strategia energetica nazionale, con tutti i suoi "rischi" e con i numeri del petrolio «destinati a crescere in modo spaventoso».

L'evento di ieri è stato organizzato da Rifondazione Comunista e, in particolare, dal consigliere regionale Maurizio Acerbo che, aprendo il dibattito, ha sottolineato la necessità di «continuare il lavoro svolto in questi anni in termini di costruzione di un movimento che dal basso contrasti la deriva petrolifera, un po' come avvenuto per l'acqua bene comune».

Lorenzo Dolce

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