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Roberta Bruzzone: «Toni, non è stato suicidio»

Berardinucci aveva 22 anni: la famiglia chiede di riaprire il caso per omicidio e dalle perizie della famosa criminologa e del fonico che si occupò del caso Pantani emerge un'altra drammatica realtà. Questa mattina dal Gup di Chieti l'udienza di opposizione alla richiesta di archiviazione

CHIETI. «Toni non si è suicidato». Con questa convinzione la famiglia di Toni Berardinucci, trovato senza vita a 22 anni, aspetterà questa mattina la decisione del Gup di Chieti sulla riapertura o meno del caso, archiviato come suicidio. A quasi cinque anni dalla tragica morte del giovane papà, i parenti attendono ancora che sia fatta chiarezza.

LA MORTE. Era il 15 luglio del 2012 quando Berardinucci, che aveva 22 anni, fu trovato senza vita nella tavernetta di casa a Francavilla al Mare (Chieti). Allora gli investigatori dissero che il ragazzo si era ucciso impiccandosi con il guinzaglio di un cane. Il corpo di Berardinucci fu ritrovato dieci ore dopo dalla compagna che, nel metterlo giù aiutata da un parente, gli tolse quel tragico cappio al collo. I carabinieri, quindi, non videro il giovane impiccato, ma riverso a terra. A credere che il giovane non si fosse ucciso è sempre stata la madre. Così ha ingaggiato una pletora di esperti, ai quali ha consegnato anche il cellulare del figlio, nella speranza che fosse utile a capire come il giovane fosse morte e se ci fossero responsabilità di terze persone. Due anni fa la richiesta di riaprire le indagini.

L’UDIENZA. Questa mattina, davanti al Gup di Chieti, si tiene l’udienza di opposizione alla richiesta di archiviazione sul caso di Toni Berardinucci. Ieri pomeriggio, da Cagliari, è arrivato il pool di esperti che assiste la famiglia del ragazzo. Ci sono l’avvocato Corrado Altea, del foro di Cagliari, e il fonico forense Marino Pitzianti, sardo anche lui. Alla richiesta di opposizione all’archiviazione è stata allegata la relazione della criminologa e psicologa forense, Roberta Bruzzone.

NUOVI ELEMENTI. «Dall’analisi del profilo vittimologico e dai rilievi in merito al quadro lesivo non emergono elementi a supporto dell’ipotesi suicidiaria», conclude l’esperta nella sua relazione, «ipotesi che la scrivente, in scienza e coscienza, allo stato ritiene di poter escludere con carattere di assoluta verosimiglianza». «Fu omicidio d’impeto», sostiene l’avvocato Altea, «la Bruzzone concorda pienamente con quanto esposto dal medico legale della difesa, Armando Faa, e dalla documentazione già versata in atti. Il suicidio di Berardinucci viene escluso sulla base di una scala scientifica e della personalità della vittima. Non aveva dato adito a segni premonitori, come depressione o isolamento. Toni era papà di un bimbo di un anno e mezzo e faceva progetti sul futuro. Aveva qualche litigio con la compagna e non andava molto d’accordo con i suoi parenti, ma questo non basta ad uccidersi». Per la difesa restano alcune incongruenze. «Tra i testi e sugli orari», continua il cassazionista, «secondo noi non furono fatte indagini approfondite. Il suicidio non è provato: il giovane non pendeva dalla corda sia per la sua altezza sia per la lunghezza del guinzaglio». E poi ci sono i file che Piztiani (che si è occupato anche del caso Pantani) ha ripescato dal cellulare. In uno si sentirebbe la voce di Toni prima della morte e nell’altro, quando lui era già deceduto,un parente dire: «gli ho dato una botta in testa».

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