Senologia, spazi più stretti addio riservatezza

Locali inidonei per gli studi medici e le pazienti operate nel reparto del professor Cianchetti, eccellenza della Asl

ORTONA. Spazi ristretti per i medici della Senologia. La notizia di stanze più piccole riservate all’équipe del professor Ettore Cianchetti è arrivata ieri e in reparto e appesantisce la già difficile situazione logistica, che garantisce sempre meno privacy alle pazienti. «È assurdo», racconta una donna, «ora sarà molto difficile incontrare il medico in colloquio privato al di fuori dell’ambulatorio di visita». È proprio questa paziente, 43 anni, operata di cancro al seno qualche anno fa, ieri al Bernabeo di Ortona per un controllo di routine, a far emergere la notizia. La Asl, che risponde attraverso Giuseppe Mariotti, il direttore sanitario di Chieti, minimizza: «Lo spostamento degli studi medici avverrà salvaguardando le esigenze del reparto».

Cianchetti, raggiunto al telefono, conferma: «Le due stanze dedicate all’équipe sono più piccole di quelle attualmente a disposizione e senza bagno dedicato in una di esse». È vero che sarà difficile avere colloqui diretti e riservati con le pazienti? «Sarà obiettivamente più complicato», tronca il professore. Già l’anno scorso gli studi medici furono spostati in tutta fretta alla metà di agosto, lasciando le stanze del 4° piano vuote e da allora chiuse. La Senologia ortonese è un fiore all’occhiello della sanità abruzzese tanto che la Asl conta di chiedere la certificazione Eusoma sulla qualità dei centri di Senologia attestati dalla società europea di mastologia. A complicare la certificazione è tuttavia proprio l’inadeguatezza e la forte carenza di spazi, che portano a paradossi come quello che vece donne operate di cancro e poi ricoverate nella clinica ostetrica. Aspetti controversi a cui aggiunge dettagli imbarazzanti la stessa paziente. «Ferma restando l’assoluta preparazione dei medici e di tutto il personale», dice la donna, «ci sono oggettive carenze che vanno sottolineate. Qualche anno fa mi hanno asportato un nodulo. Venni dimessa il giorno dopo, ma c’erano altre donne che la sera stessa lasciarono l’ospedale. Il giorno dopo dovevamo tornare per il controllo. Immagini avere il seno tutto fasciato, con le cannule del drenaggio in vista e di sostare in una sala con tanti altri pazienti che hanno tutt’altro tipo di problemi. La situazione non è cambiata. Il reparto, come sala d'attesa, ha solo un’ansa ricavata lungo un corridoio, con pochi posti a sedere, delimitata da pareti di vetro, dove con il caldo è praticamente impossibile sostare. Lungo il corridoio degli ambulatori, non ci sono più le sedie e così siamo costrette, se non vogliamo sostare nella sala d’attesa comune a più reparti, a rimanere in piedi nell’attesa. Quando hai questo tipo di malattia, pur di curarti fai e sopporti di tutto ma è veramente umiliante ritrovarsi in una sistemazione logistica come questa».

Tornano in mente parole importanti come “umanizzazione delle cure” e di fronte al racconto di questa donna il pensiero corre anche a quella dignità della persona, al diritto alla riservatezza, che in un reparto così delicato dovrebbe essere la prima prerogativa.

Sipo Beverelli

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