Addio a Balestrini, una vita tra letteratura e rivoluzione 

E’ morto a 83 anni lo scrittore autore di classici del ’900 come “Vogliamo tutto” Dalla neo avanguardia del Gruppo 63 alla militanza politica in Potere Operaio

La figura di Nanni Balestrini, poeta, narratore e saggista scomparso ieri a 83 anni (era nato a Milano il 2 luglio 1935), è legata in maniera emblematica a due suoi titoli, uno sperimentale dagli echi più esistenziali “Tristano” del 1964 e che rimanda al suo acceso impegno politico, e “Vogliamo tutto” del 1971, che restano e furono due manifesti tra gli anni della neoavanguardia e l'inizio poi di quelli cosiddetti di piombo.
Intellettuale, letterato, certamente, ma anche uomo attivo, operatore culturale (del resto quello che è praticamente il suo primo titolo, una raccolta di versi, si intitolava “Come si agisce”, con le parole e la lingua certo, ma non solo) fu direttore della rivista Quindici del Gruppo 63, di cui fu tra i fondatori e organizzatori del convegno di nascita, redattore della Feltrinelli, negli anni dell'attenzione alla produzione sperimentale e dell'impegno politico, quindi, dopo l'ondata della contestazione studentesca del '68, tra i promotori del gruppo di Potere Operaio e nel 1976 tra i sostenitori della cosiddetta Autonomia operaia, tanto che quando partì l'operazione di polizia nota come “7aprile” contro quest'area, fu accusato nel 1979 di costituzione di banda armata e fuggì allora riparando in Francia e poi in Germania, tornando in Italia prosciolto solo dopo il 1985.
Del romanzo “Tristano” si parla e si parlò nel 1964 soprattutto a proposito della sua struttura e genesi, che è quella combinatoria già in uso con le sue poesie, costruito scegliendo alcuni testi (nel caso dalla letteratura rosa popolare, da lavori storico-politici, dalla manualistica più varia) da cui stralciare brani o frasi da ricombinare infine in un nuovo testo in cui ogni capoverso è una sorta di miniromanzo e che dà vita quindi a un iperromanzo con una sua precisa geometria col risultato di una scansione ritmica che vuol comunicare agitazione e far interagire emotivamente e intellettualmente il lettore con l'assenza di una trama, dei personaggi, e dello stile, come dichiarava la quarta di copertina della prima edizione. Del resto Balestrini era uno dei nomi che appariva (con Giuliani, Porta, Pagliarani, Sanguineti e altri) nel 1961 nell'antologia “I Novissimi” a cura di Giuliani e poi è stato tra i curatori dell'antologia letteraria e di quella critico-teorica intitolata proprio al Gruppo 63 (ristampate da Bompiani 50 anni dopo). A questo si aggiungono le sue varie raccolte poetiche, da “Facciamone un'altra” a “La signorina Richmond”, sino a “Estremi rimedi” e “Contromano”, tutte poi riunite nella edizione completa dei suoi versi in tre volumi pubblicati da DeriveApprodi tra il 2015 e il 2018. “Vogliamo tutto” invece sette anni dopo appare molto diverso, tanto che ci fu chi, superficialmente, parlò persino di opera neo neorealista, mentre conservava al fondo, accanto all'invenzione narrativa, quel sistema costruttivo che si avvale della scelta di testi preesistenti, che hanno un effetto straniante con risvolti iperrealistici, elaborati a documentare e narrare le vicissitudini di Alfonso, un immigrato meridionale a Milano che si trova costretto a fare mille mestieri, partecipando alle prime lotte studentesche e poi arrivando a entrare alla Fiat nella stagione dell'Autunno caldo e infine prendendo parte alle fazioni extraparlamentari. Più o meno con la stessa tecnica sono creati anche altri due romanzi di Balestrini, “La violenza illustrata” del 1976 e “Gli invisibili” del 1987, mentre sulla propria scrittura, pur mimetica e giocata sui registri comici e della violenza che porta all'azione, nasce nel 1994 “I furiosi” sulle gesta epiche e drammatiche di un gruppo di ultrà del calcio. «Più che un risultato di scelte premeditate, il Gruppo 63 può essere visto come un passaggio generazionale, un evento biologico», ha scritto lo stesso Balestrini, parlando di giovani nati sotto il fascismo chiamati a rinnovare la cultura di un paese diventato industriale e metropolitano, davanti al quale, «quel che avevano ereditato, prescindendo da ogni giudizio di valore, appariva inutilizzabile». Si liberarono così energie che presero varie vie, chi più “rivoluzionario” nel suo operato culturale chi sentì l'esigenza di affiancare a ciò un'attività pratica che partecipo «al grande slancio positivo» di quegli anni, che per lo scrittore fu «stroncato da una feroce repressione a tappeto che non colpì solo il vero terrorismo, le Brigate rosse, ma anche tutta un'area enorme», bloccando tutto e portando al decadimento culturale, morale e sociale dei decenni a seguire.
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