Addio a Ottaviano Giannangeli il poeta che amava Ovidio 

Lo scrittore e docente latinista di Raiano è morto a Sulmona all’età di 94 anni «Alla domanda di Montale rispondo così: scrivere versi è ancora possibile»

SULMONA. La lingua e il dialetto. La Valle Peligna e la sua Raiano. Il legame con la sua terra e l’universalità del messaggio affidato ai suoi scritti. Veicolato attraverso l’insegnamento nelle scuole medie e superiori d'Abruzzo prima e nella facoltà di Lingue dell’università d'Annunzio di Chieti-Pescara poi, dal 1974 al 1993). E’ difficile concentrare in poche righe l’esperienza umana e intellettuale di Ottaviano Giannageli. Il “Professore”, 94 anni, si è spento ieri mattina, all’ospedale di Sulmona. Lascia la moglie, amore di una vita, Elisabetta Caccavella. La camera ardente è stata allestita nella biblioteca della sua abitazione a Raiano; la funzione funebre oggi alle 15, nella chiesa di Santa Maria Maggiore.
Giannangeli se ne va così, nello stesso anno in cui ha dato alle stampe “Quando vivevo sulla terra” (Verdone editore), opera omnia e "invito" a immergersi in un cammino culturale lungo ottant’anni, allestito con la collaborazione di Andrea Giampietro. Chiacchierando con lui, qualche tempo fa, gli avevamo chiesto di guidare idealmente i lettori in questo percorso. Lo aveva fatto con carrellata di lucidi ricordi, decine di versi recitati a memoria e passione. «“Pure ebbi il torto d'esser nato, / di vecchio sterpo italico, a Raiano / che dista da Corfinio tre chilometri. E poi seppi la retorica di Roma”: mi piace presentarmi con questi versi ovidiani, tratti dalla mia poesia "Prefazione all'Italia", in cui emerge il legame profondo con la mia terra», aveva detto.
Così si raccontava il Professore, nato a Raiano. il 20 giugno 1923, da madre pratolana e padre secinarese, laurea in Lettere a Firenze nel 1947 e una vita da protagonista della cultura nazionale.
La sua prima raccolta poetica, "Ritorni", risale al 1944. «Ho sempre nutrito grande piacere nel recitare versi», aveva detto al Centro, «ma la scintilla scoccò a 16 anni, quando scrissi un’ode saffica su San Venanzio. La passione per la metrica classica mi venne da zio Felice Santarelli. Quando i miei compagni leggevano Jack London o Emilio Salgari, io mi feci donare l’antologia carducciana».
Tra i suoi libri centrali "Gli isolani terrestri” (1958), manifesto della poesia "spaziale" in cui anticipa l’alienazione dell’uomo moderno; "Canzoni del tempo imperfetto" (1961) e "Un gettone di esistenza", la raccolta dialettale "Lu libbre d'Ottavie" (1979), fino a "Un sito per l'anima" (2008).
«Tutti i libri sono importanti», sosteneva. «I primi sono di prova, i successivi permettono allo scrittore di acquistare maturità. Dicono che le cose mie più belle siano quelle che mi hanno permesso di vincere numerosi premi. Tra queste c’è “La preghiera degli esuli abruzzesi” del 1961, contenuta in “Un gettone di esistenza”, poesia attualissima, preghiera di ogni migrante, che tratteggia la condizione di ex-uomini segnati dalla sofferenza».
Studioso e autore di canti dialettali, fondò nel 1946, a Raiano, la “Sagra delle Ciliegie”, nel 1957, a Sulmona, la rivista Dimensioni, con la quale collaborarono anche Ignazio Silone e Laudomia Bonanni, e, nel 1966, il Premio Lanciano di poesia dialettale.
Lo scorso ottobre è stato omaggiato con il Premio Sulmona per la cultura.
Critico di grandi autori moderni, il suo saggio sulla metrica montaliana fu apprezzato dallo stesso poeta ligure. E su Montale amava ricordare un episodio: «In un’antologia della scuola media in cui insegnavo nel 1953 c’era un suo componimento ("Antico, sono ubriacato dalla voce", ndr) il cui verso 5 veniva reso dal compilatore così: “La casa delle mie estasi lontane”. Ma quell’“estasi” non suonava, non era montaliana. Così, con i miei alunni, scrissi al poeta, che ci rispose: “Caro professore e cari ragazzi di Sulmona, il verso che vi interessa diceva, e dice: la casa delle mie estati lontane. Non conoscevo il libro che trasforma le estati in éstasi. Vi ringrazio della vostra amicizia e Vi saluto cordialmente”. Nella sua raccolta "Satura", inoltre, c’è una poesia che inizia osì: “Uscito appena dall’adolescenza…”. In questo verso è stata ravvisata la memoria poetica del verso di apertura - "Uscire appena di convalescenza…" - di una mia poesia della raccolta "Gli isolani terrestri", che avevo inviato in omaggio al poeta».
Chiudendo la nostra chiacchierata, quel giorno, chiedevamo al “Professore” quello che Montale si domandava, ricevendo il Nobel: è ancora possibile la poesia? «Certamente, se si intende la poesia nel suo significato più intimo. Ovidio scriveva nei “Tristia”: “Spesso il padre mi disse: “Perché tenti un campo inutile? Lo stesso Omero non lasciò sostanze. (...) Dovunque era un poeta / credevo fosse una divinità.” E con Ovidio, condivido la passione per la parola scritta. Ma la poesia non è venale, non è consumo, darsi all’incanto è banale e chi la vende, vende fumo».
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