Addio a Philip Roth, il gigante della letteratura americana 

Lo scrittore di Lamento di Portnoy e La macchia umana è morto a 85 anni Nel 2012 aveva smesso di scrivere: «La fine ha bisogno solo di parole semplici»

Schivo, ostinato, un gigante della letteratura in lotta con la scrittura e il talento, Philip Roth, morto ieri a 85 anni in un ospedale di New York, ha sempre cercato quell'autenticità che è alla base della creatività. E adesso più che mai questo ci sembra vero. L'autore di Pastorale americana, Premio Pulitzer nel 1997, non ha mai smesso di interrogarsi su quello che faceva fino a decidere di smettere di scrivere a 79 anni. Come diceva ne Il fantasma esce di scena: «La fine è così immensa, è la sua stessa poesia. Non ha bisogno di grande retorica, ma solo di parole semplici».
Unico scrittore americano la cui opera sia stata pubblicata in forma completa e definitiva dalla Library of America mentre era in vita, più volte candidato sicuro alla vittoria del Nobel mai ingiustamente vinto, quando nel 2012, dopo 31 libri tra cui capolavori come Il teatro di Sabbath, Lamento di Portnoy, Goodbye Columbus, annunciò il suo addio alla scrittura la sua decisione scosse il mondo letterario. Senza rinnegare il passato, anzi pensando che «era piuttosto riuscito» quello che aveva regalato al mondo aveva detto: «Ho dedicato tutta la mia vita a scrivere sacrificando tutto il resto. Ora basta. L'idea di cercare di scrivere di nuovo è impossibile». Una decisione meditata, sulla quale non è mai tornato indietro. Anzi, aveva rincarato la dose, chiedendo ai suoi esecutori testamentari di distruggere il suo archivio dopo la sua morte. Ma adesso c'è chi si augura che questo non accada e comunque le sorprese non mancheranno. A fine ottobre 2018 uscirà per Einaudi, che ha in catalogo tutte le opere dello scrittore, “Perché scrivere Saggi 1960-2013”, l'edizione definitiva dei suoi saggi, nella traduzione di Norman Gobetti, con interventi che dialogano incessantemente con l'opera narrativa di Roth e al tempo stesso ci rivelano le sue passioni e l'acutezza del suo sguardo sul presente. E dopo il Meridiano Mondadori, uscito nel 2017, con saggio introduttivo e gli apparati critici di Elèna Mortara e Paolo Simonetti, sono in arrivo il secondo volume, in ottobre, e il terzo volume con un saggio introduttivo di Alessandro Piperno, nella primavera del 2019.
Originario di Newark nel New Jersey, dove era nato nel 1933 in una famiglia della piccola borghesia ebraica, Roth viveva fra New York e il Connecticut e negli ultimi anni amava stare nella sua villa in campagna. Aveva esordito nel 1959 con Addio Columbus. Ma il primo grande successo era arrivato con Lamento di Portnoy in cui il sesso e il piacere vengono affrontati in forma esplicita e tragicomica. Alexander Portnoy e il professor David Kepesh, che troviamo in Professore di desiderio e ne L'animale morente, in cui Roth parla del femminismo e della liberazione sessuale, sono insieme a quello che può essere considerato il suo alter ego, Nathan Zuckerman, sono diventate delle icone. Anche in “Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno. Ovvero, guardando Kafka”, Roth riflette su Kafka uomo e scrittore a partire dal rapporto con le donne. L'ultimo suo libro, come lo scrittore aveva annunciato è Nemesi del 2010, uscito in Italia nel 2011: è un romanzo breve, ambientato nel New Jersey nel 1944 dove i giovani rimasti in patria combattevano la battaglia contro la polio. Il rapporto con le donne e il sesso, la religione e la morale sono i temi ricorrenti nei suoi romanzi che esplorano la storia americana e la dimensione ebraica e in cui si sente il legame con la storia familiare dello scrittore. In fondo la parabola umana e artistica di Zuckerman che troviamo in molti romanzi di Roth come protagonista e come narratore in Pastorale americana - diventato un film di Ewan McGregor - in Ho sposato un comunista e La macchia umana, è quella di un uomo alle prese con le proprie origini e con le proprie matrici etiche e culturali. Vincitore nel 1998 della National Medal of Arts alla Casa Bianca e nel 2002 della Gold Medal per la narrativa, vincitore due volte del National Book Award e tre volte del Pen-Faulkner Award, Roth che a 74 anni aveva cominciato a rileggere i suoi libri preferiti, da Hemingway a Turgenev, e i suoi romanzi in ordine inverso. Roth non era infatti concentrato solo sul suo mondo intellettuale ma era interessato al lavoro dei suoi colleghi a cui è dedicato Chiacchiere di bottega del 2004 in cui aveva raccolto le conversazioni e i ricordi che lo legano a dieci grandi scrittori, in gran parte di origine ebraica, da Kundera a Edna O’Brien a Aharon Appelfeld a Primo Levi.
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